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Decreto Bersani, la fiducia vien di notte

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Ieri al Senato è stata la volta della manovra correttiva, quella che contiene il «pacchetto Bersani» e quello fiscale di Vincenzo Visco. Il governo è stato costretto a blindare il testo proprio per evitare «imboscate» sull'articolo 2, il più importante, quello sulla liberalizzazione delle professioni. Imboscate che la maggioranza aveva già capito che sarebbero arrivate da Rifondazione e dal Gruppo per le Autonomie. Ma la fiducia, visto che il decreto era stato approvato alle 18 di lunedì, per regolamento del Senato, non poteva essere votata prima di 24 ore. Così l'Aula è stata costretta votare a notte fonda, dopo mezzanotte. Un voto giocato su una manciata esigua di voti, visto che dei sette senatori a vita ne mancavano cinque: Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Carlo Azeglo Ciampi, Pininfarina e Oscar Luigi Scalfaro. Ma alla fine, a mezzanotte e mezza l'Unione è riuscita ad vere i 160 voti necessari per dire sì al provvedimento, grazie soprattutto ai senatori eletti all'estero e agli unici due senatori a vita presenti in aula, Emilio Colombo e Rita Levi Montalcini, che alla faccia dei suoi 97 anni è rimasta fino all'ultimo a Palazzo Madama. Nel pomeriggio il ministro Bersani era intervenuto per difendere il decreto. Innanzitutto ha spiegato che il testo sulle liberalizzazioni è «solo l'inizio della politica economica» del Governo e che «nella discussione sul decreto le critiche si sono divise estremizzando tra 2 punti: non serve a nulla o provoca disastri biblici. Invece ha un notevole rilievo». Il provvedimento infatti, secondo il ministro, apre «la pista per il passo successivo del suo intervento in economia: cioè coniugare risanamento, crescita e redistribuzione» dei redditi. Bersani, sottolineando che «se il risanamento peserà 30, anche equità e redistribuzione peseranno 30», ha spiegato che la linea del Governo «comporterà scelte non semplici», ma che «l'opinione pubblica comprenderà la logica dell'intervento». Replicando poi alle molte critiche arrivate in questi giorni dalle categorie e dal Parlamento Bersani ha sottolineato che «il governo non ha ceduto né vinto con nessuno. Questa cosa mi è costata ma ribadisco: un governo non deve vincere. Deve Governare e cambiare». Ovviamente critica la Cdl. An ha addirittura annunciato che potrebbe «studiare la possibilità di lanciare un referendum abrogativo su quelle parti del decreto che colpiscono le categorie che non hanno trovato forme di confronto con il Governo». Esterrefatto e amareggiato il capogruppo di FI Renato Schifani, che ha sottolineato la «paura» del Governo ad andare al voto d'aula.

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