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Afghanistan, alcuni dissidenti potrebbero comunque votare no

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Comunque ieri in tarda serata lo stesso premier, uscendo da un vertice dell'Ulivo sul partito democratico, è stato costretto ad ammettere che «a questo punto la fiducia è assai probabile. Naturalmente fino all'ultimo momento si possono creare delle situazioni tali da far prendere altre strade». Il problema è che a questo punto potrebbe addirittura non bastare più neppure la fiducia, per scongiurare che il governo non ottenga i voti necessari per rifinanziare il disegno di legge sulla nostra missione militare. I segnali che il cammino sarà sempre più in salita fino al voto di giovedì sono arrivati ieri nella prima riunione congiunta delle due commissioni del Senato Affari Esteri e Difesa che hanno iniziato l'esame del Ddl. E già dalle prime dichiarazioni si è capito che da lì potrebbe arrivare addirittura un parere negativo. I membri infatti sono 51, 24 del centrosinistra (compreso il presidente De Gregorio dell'Italia dei Valori), 25 del centrodestra, più i due senatori a vita Giulio Andreotti e Luigi Scalfaro». Tra gli esponenti dell'Unione ci sono però due dei nove dissidenti, Fosco Giannini di Rifondazione Comunista e Ferdinando Rossi del Pdci. «C'è un brutto clima, non si capisce che cosa vogliono — racconta uno dei membri del centrosinistra — A questo punto potrebbe anche non bastare porre la fiducia perché un paio di loro forse voterebbe contro comunque». Il senatore Mauro Cutrufo, della Nuova Dc, si spinge a fare previsioni: «Anche se blindano il testo dico che hanno un 20 per cento di possibilità di andare sotto. Vedo una gran confusione, tra incapacità di governare e voto di coscienza. Ma in realtà è solo un arrendersi al ricatto della sinistra radicale». Un elemento in favore di Prodi potrebbe però essere la conferenza di pace che si svolgerà a Roma domani e sulla quale Massimo D'Alema riferirà proprio al Senato giovedì pomeriggio prima che inizino le operazioni di voto sul ddl di rifinanziamento. Dalle parole del vicepremier e dall'eventuale successo del summit potrebbe alla fine dipendere anche il voto dei dissidenti sull'Afghanistan. Ieri sera, alla fine di una riunione proprio con gli otto ribelli, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti era moderatamente ottimista: «È stato un incontro positivo perché c'è stato un confronto vero e poi perché nessun senatore ha manifestato una presa di distanza dalla maggioranza di centrosinistra. Non esiste quindi un problema di tenuta, c'è solo un problema di pluralismo di posizioni e delle necessità di un confronto». La scelta di mettere la fiducia resta comunque l'ipotesi privilegiata del governo, visto che il gruppo di Rifondazione ieri ha deciso che in quel caso voterà sì. Anche se il segretario del partito Franco Giordano sa benissimo di non avere nessun controllo reale sui quattro dissidenti del partito, Fosco Giannini, Claudio Grassi, Luigi Malabarba e Franco Turigliatto. E dalle decisioni della maggioranza dipendono anche le scelte che farà in aula la Cdl: ci sarà il «no» nel caso in cui venga posta la fiducia ma potrebbero anche esserci soluzioni diverse se ci saranno altre «opportunità» politiche. Da Alleanza Nazionale, all'Udc, dalla Lega a Forza Italia, i partiti della Cdl non prendono neanche in considerazione l'ipotesi di sostenere in Senato il governo Prodi. Sul fronte di An la posizione resta la stessa di qualche giorno fa. «Se dovessero mettere la fiducia non potremo votare sì perché non si voterà più sull'Afghanistan, ma sul governo», spiega Ignazio La Russa. La fiducia, taglia corto il segretario Udc Lorenzo Cesa, «sarebbe un'espropriazione del Parlamento» e in quel caso «saremmo obbligati a dire no».

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