Giornali, i furbetti sbancano lo Stato
Gridano agli scandali. Sbattono in prima pagina gli sperperi. Ma poi alla fine finanziano buona parte delle proprie spese con i soldi pubblici. Ecco la gran parte dei giornali italiani. Con i titoli contro lo Stato, con i bilanci sempre a favore del potere politico. Sia chiaro tutto legittimo, la legge per il finanziamento dell'editoria lo consente. Ma almeno moralmente il caso di coscienza dovrebbe venire. È dal 1987 che per accedere ai contributi basta che due deputati dichiarino che la pubblicazione è organo di un movimento politico. Mentre dal 2001 la legge impone la trasformazione ed il passaggio dei quotidiani da organi di movimenti politici in cooperative. Da allora ne nasceranno a centinaia. E così pure i fondi stanziati aumenteranno a dismisura, fino ad arrivare agli attuali 667 milioni di euro. Soldi che però già l'attuale Governo ha annunciato di voler ridurre. Un'ammissione fatta proprio da Riccardo Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l'Editoria, agli inizi di luglio per placare chi temeva una flessione dei contributi per il triennio 2006-2008 di oltre 80 milioni di euro. È invece più rassicurante la «dieta» imposta dal Governo Prodi con una riduzione dei finanziamenti di un milione di euro per il 2006 e di 50 milioni per il 2007 e per il 2008. Il tutto per «contribuire al riequilibrio dei conti pubblici al quale non può sfuggire il dipartimento». E i giornali diano l'esempio. Sempre pronti a denunciare gli sprechi del potere politico. Ma qui sta il bello perché quanto più i giornali sono pronti a criticare, tanto più sono lesti a mettere in bilancio i finanziamenti statali. I dati dei contributi all'editoria per il 2003, scaricabili dal sito del Governo, parlano chiaro. Giornali trasformati da organi di movimenti politici in cooperative come «Libero», «Roma» o «Il Foglio», oppure testate di riferimento di partiti come «Secolo d'Italia», «Europa» o «L'Unità». Tutti corrono a farsi finanziare. Più di tutti «L'Unità», giornale di riferimento dei Ds, che gode in assoluto della quota maggiore di finanziamenti. Quasi 7 milioni di euro per sostenere un giornale che Antonio Padellaro, il direttore, in più occasioni ha definito «un giornale privato». E allora il contributo? Per Padellaro fa certamente bene alle finanze de «L'Unità» ma è garantito attraverso il sostegno dei gruppi diessini di Camera e di Senato, come previsto dall'accordo al momento della riapertura. A sorprendere però è il fatto che a ricevere il massimo dei contributi dallo Stato sia chi ha più ferocemente criticato il Governo Berlusconi e la sua politica, quello che ha raccontato agli italiani dell'esistenza di una dittatura. Però stavolta non c'è berlusconismo che tenga, i finanziamenti valgono molto di più. Alla faccia del regime. Tra i finanziati spicca anche «Libero» di Vittorio Feltri, terzo giornale più sostenuto dallo Stato. Quasi 5 milioni e mezzo per un quotidiano che da organo del movimento monarchico è poi diventato una cooperativa. Stavolta a far riflettere è il fatto che finanziamenti, legittimi, ma così copiosi vadano a chi ha sempre criticato aspramente l'utilizzo disinvolto del denaro pubblico. Voce critica che forse sarebbe ancora più autorevole se non ci fossero tanti soldi pubblici, che possono rendere poco credibili le invettive contro il potere politico. E non sfugge a questa riflessione neanche «La Padania». Sempre pronta a gridare «Roma Ladrona», e oggi avventuratasi dietro l'icona immaginifica ed un po' sbiadita di un Lombardo-Veneto del 2000. Però nel 2003 di certo non bollò come «ladroni» i 4 milioni di euro ricevuti dallo Stato, o meglio da Roma. E la sagra delle contraddizioni termina con due giornali comunisti «doc»: «Liberazione» e «Il Manifesto». A favore dell'aumento delle rendite fiscali, pronti ad espropriare Berlusconi della sua Mediaset, ma poi quando si tratta del contributo statale, concesso proprio dal Cavaliere, l'ideologia è bella e servita.