«Il farmaco non è un prodotto»
Anche Cesare Cursi senatore di Alleanza Nazionale, ex sottosegretario alla Salute nel governo Berlusconi, attuale vicepresidente della Commissione Sanità a Palazzo Madama, è fortemente contrario. Senatore Cursi, An è critica su metodo e merito del decreto. Perché? «Con il decreto Bersani si punta più a riconoscere nel farmaco un prodotto, riducendo al concetto del businness la distribuzione del farmaco che invece è un bene per la tutela della salute ed implica scienza e conoscenza in chi opera in tale ambiente». È previsto che i farmaci siano venduti in appositi spazi e con la presenza di un farmacista. Non sono garanzie sufficienti per il cittadino? «Il pagamento della cambiale alle coop sottoscritta in campagna elettorale travalica gli aspetti legati alla tutela della salute, e non basta spostare l'erogazione del farmaco da un luogo all'altro per mettersi l'animo in pace. Il farmacista e la farmacia sono da sempre punto di riferimento del cittadino e presidio sanitario». La liberalizzazione dovrebbe far scendere i prezzi? «Vorrei ricordare che quando fu varata la legge 149 del 2004 che consentiva lo sconto fino al 20% dei farmaci a carico del cittadino, i farmacisti sottoscrissero con il governo l'impegno per l'aumento delle farmacie, il potenziamento di quelle con presidio sanitario per garantire, anche nei piccoli comuni, la possibilità ai cittadini di avere comunque garantite le medicine. Sarà così anche con le cooperative e i supermercati? E le cooperative e i supermercati avranno, come le farmacie fanno oggi, i turni di notte. A queste domande conosco già la risposta negativa». Il presidente di Federfarma, Caprino, sostiene che il decreto distruggerà la rete capillare delle farmacie che faranno la fine dei piccoli negozi di alimentari, spazzate via dalla grande distribuzione. «Sono preoccupazioni legittime e ci preoccupa che il cittadino non sia oggi tutelato in quel bene garantito dalla Costituzione all'articolo 32. Ritengo che il decreto legge Bersani, che peraltro non porta la firma del ministro della Salute Livia Turco, cosa già di per se anomala e strana, non aveva caratteristiche dell'urgenza e della necessità». La concertazione che fine ha fatto? «La concertazione promessa dal ministro Turco all'inizio del mandato sarebbe stata oppurtuno attuarla prima e non dopo, a cose fatte. Non è un modo corretto di confrontarsi con le categorie». Oltre a dichiararsi contrari, An cosa pensa di fare? «Ho già espresso parere contrario in Commssione Sanità e i colleghi del Bilancio hanno presentato emendamenti per evitare che la rete delle farmacie possa essere ridotto a poca cosa, con evidenti danni per i cittadini. La convinzione che abbiamo però è che anche stavolta il governo Prodi non avrà il coraggio confrontarsi con le opposizioni e sottoporsi a un voto sul merito del provvedimento. Scegliendo, invece, la strada più sicura. Far decadere tutti gli emendamenti con la richiesta, anche questa volta, della fiducia». Quanto c'è di ideologico in questo decreto che si dice prenderebbe di mira categorie "ostili" alla sinistra? «Tutto questo disegno fa parte di una vecchia cultura dell'ex partito comunista che ha sempre visto nelle categorie professionali e produttive e negli Ordini un attacco ai loro disegni egemonici, che non riconoscono l'automonia professionale e produttiva del singolo, e quindi tendono ad annullare quanti con il loro consenso hanno epresso posizioni contrarie».