Il premier: «Se l'Onu invierà una forza di interposizione in Libano, l'Italia farà la sua parte»

Al termine del G8 di San Pietroburgo il premier Romano Prodi fa sapere che una nuova missione di militari italiani all'estero potrebbe essere imminente: nel sud del Libano all'interno di una forza di interposizione dell'Onu. L'annuncio in realtà è una risposta al segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan che, in mattinata, dopo un incontro con il primo ministro inglese Tony Blair, aveva chiesto agli otto grandi della Terra di intervenire per fermare il conflitto tra Libano e Israele. «L'unico modo che abbiamo per arrivare alla cessazione delle ostilità - aveva detto Blair dopo il faccia a faccia - è un dispiegamento di una forza internazionale che possa fermare i bombardamenti su Israele e dare, quindi, ad Israele una ragione per fermare gli attacchi contro Hezbollah». Così, quando Prodi si presenta davanti ai giornalisti, è perentorio. I «pianificatori» italiani, spiega, sono già in azione per studiare, in collaborazione con ufficiali dell'Onu, i modi e i tempi di una partecipazione dell'Italia all'operazione di peace-keeping annunciata da Annan. «L'Italia è pronta a fare la sua parte» dichiara il Professore. E da Roma arriva immediata la conferma del vicepremier Massimo D'Alema: «È necessaria una forte iniziativa dell'Onu con la creazione di una vera e propria forza di interposizione» e l'Italia ci sarà. Anzi, il ministro degli Esteri rilancia: «Bisogna estendere la forza di interposizione anche a Gaza». Le parole di D'Alema e Prodi, questa volta, raccolgono consensi anche nell'ala più radicale della coalizione con Prc, Verdi e Pdci che applaudono convinti. Anche se gli accenti sembrano un po' diversi da quelli del G8 (come dimostrano anche le due manifestazioni romane che, in serata, vedono la sinistra dividersi tra chi appoggia il governo libanese e chi, invece, quello israeliano). Infatti, mentre a San Pietroburgo Blair aveva parlato della necessità di «fermare i bombardamenti su Israele», in Italia il responsabile Esteri del Pdci Iacopo Venier parla di «invasione israeliana del Libano come di Gaza». Ma a tenere banco è soprattuto la politica interna. A nessuno, infatti, è sfuggito che l'annuncio di Prodi è arrivato proprio nel momento in cui l'Unione si divide sul rifinanziamento di un'altra missione Onu: quella sull'Afghanistan. I pacifisti, però, almeno per il momento non contestano. Forse perché Prodi, per evitare polemiche preventive, scandisce più volte che quella inviata in Libano «sarà una forza di pace». Anche se, a chi gli fa notare che questa missione delle Nazioni Unite non potrà limitarsi a dispiegare sul terreno dei semplici osservatori, risponde: «Se fossero sufficienti solo degli osservatori non sarebbe successo quello che è successo». Insomma, la missione in Libano non sarà una passeggiata ed è quasi certo che le polemiche non tarderanno ad arrivare. Anche perché, almeno per il momento, i dettagli sono in gran parte da definire. Troppo presto, ad esempio, per sapere quanti saranno i militari eventualmente impegnati. Il premier non si è sbilanciato ma ha riportato le prime valutazioni dell'Onu che fissano ad almeno diecimila uomini il numero minimo da dislocare. Attualmente sono già presenti circa duemila caschi blu (tra questi anche uomini e mezzi italiani): ne servirebbero almeno altri ottomila.