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Il governo s'arrende «Non ce la facciamo»

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Letta propone di allargare la maggioranza ma subito dopo si corregge e fa dietrofront

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Serve quindi una forte azione di convincimento verso i settori moderati». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta sceglie il palco dell'assemblea federale della Margherita per dire in modo esplicito quello che dall'indomani del voto politico in molti pensano. Nel ragionamento del dirigente dei Dl, l'ampliamento della base parlamentare dell'Unione al Senato è uno degli obiettivi immediati del Partito Democratico, alla cui nascita lavorano da mesi Margherita e Ds. Frase che provoca la preoccupazione della frangia radicale della coalizione, impensierita da uno spostamento al centro del baricentro del governo, e l'irrisione della Cdl che parla esplicitamente di operazione «trasformista» e di ammissione di «resa». Ma Letta non è il solo ieri ad aver posto il problema dell'esiguità della maggioranza in Senato. Anche la capogruppo dell'Ulivo a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, batte sullo stesso tema intervenendo al Consiglio nazionale dei Ds. Dopo essersi lamentata della battaglia difficilissima che i senatori «combattono ogni giorno per tenere Prodi al governo», conviene con Letta osservando che «bisognerebbe ampliare la base dei votanti a favore delle iniziative del Governo». Immediata la replica del coordinatore azzurro Sandro Bondi: «Finalmente Letta ammette che non è possibile governare l'Italia contando sui voti dei senatori a vita. Sulla necessità, invece, posta dallo stesso Enrico Letta di allargare la maggioranza al Senato - aggiunge Bondi - ci chiediamo se si tratta dell'avvio della formazione di una nuova maggioranza e di un nuovo governo, oppure semplicemente dell'inizio della compravendita da parte del governo di parlamentari dell'opposizione e dell'apertura di una nuova fase di volgare trasformismo». E aggiunge: «Le considerazioni della senatrice Anna Finocchiaro sulla necessità da parte dell'attuale maggioranza di prendere atto della mancanza di una solida maggioranza al Senato e di aprire un confronto con l'opposizione riconoscendo che le questioni che riguardano settori strategici per il Paese che non possono soffrire del cambio ad ogni alternanza di governo, sono ragionevoli e promettenti». Passa qualche ora e lo stesso Letta corregge parzialmente il tiro ricordando che, al di là dei suoi auspici, «la maggioranza è autosufficiente, ha dimostrato di esserlo in ogni momento e lo dimostrerà nei prossimi giorni, anche nella politica estera». Precisazione che fa tirare un sospiro di sollievo alla sinistra radicale, insospettita dal suo primo intervento. Ma, dopo la precisazione, la Cdl torna a infierire su Letta. «Le precisazioni del sottosegretario alla presidenza del consiglio dimostrano che perfino l'on. Enrico Letta - sottolinea ancora Bondi - è coinvolto nella confusione che regna all'interno del governo. Spiace dover constatare - conclude Bondi - un certo dilettantismo e avventurismo politico nelle sue parole». «È comprensibile - aggiunge Jole Santelli (Fi) - che ora corregga il tiro, dopo avere ammesso che la propria maggioranza non ha i numeri per governare il Paese. Resta il fatto, indegno, che a soli due mesi dall'insediamento del Governo, Letta faccia questa dichiarazione di resa, invocando il tradimento del voto popolare». Molto più diplomatico il commento di Marco Follini, ex segretario Udc, che, in quanto senatore, in molti individuano come il destinatario naturale dell'appello del dirigente della Margherita: «Letta ha descritto bene e con onestà il labirinto di piccoli numeri e grandi contraddizioni in cui la maggioranza rischia di perdersi. La via d'uscita da quel labirinto non è la piccola coalizione, con una maggioranza appena appena più larga. La via d'uscita è e resta la grande coalizione. Il filo d'Arianna - conclude Follini - è quello che hanno trovato a Berlino».

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