Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

di FABRIZIO DELL'OREFICE CHISSÀ, forse si sarà riguardato quella tessera del Partito comunista che gelosamente ...

default_image

  • a
  • a
  • a

Nemmeno dopo l'elezione a presidente della Repubblica. Anzi. Il Capo dello Stato, il politico per eccellenza super partes, è tornato in campo. Di nuovo al fianco di Romano Prodi e di nuovo per sostenere, con maggiore forza, il governo e difenderlo a livello internazionale. E a rivolgere un appello affinché anche i dissidenti del centrosinistra mettano da parte le critiche. Due entrate a gamba tesa nell'agone politico che appena qualche settimana fa, Carlo Azeglio Ciampi presidente, sarebbero state impensabili. E subito a ruota dell'inquilino dle Quirinale seguono le altre due principali cariche dello Stato. Parla prima Fausto Bertinotti e dopo anche Franco Marini, presidenti di Camera e Senato. Insomma, tutte le più alte istituzioni sono schierate al fianco dell'esecutivo. A cominciare è proprio Napolitano, ancora una volta con un giornale estero (questa volta è la Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung), che si sofferma sulla situazione politica italiana, sull'impegno del nostro paese in Iraq e Afghanistan, definendo un test di coesione per l'Unione la questione del rifinaziamento delle missioni militari (se questa decisione dovesse dipendere dai voti della Cdl ciò rappresenterebbe un segnale di debolezza per la maggioranza, non senza conseguenze, afferma). Riferendosi poi alle controverse riforme sulle liberalizzazioni attuate dal governo di Romano Prodi, il presidente Napolitano si dice «convinto che la grande maggioranza dei cittadini italiani veda la necessità di introdurre un processo di liberalizzazioni e anche di privatizzazioni». «Nel passato ci fu troppa invadenza dello Stato nell'economia, e la maggior parte dei cittadini sa che questo non poteva reggere», afferma Napolitano. «Naturalmente - aggiunge - con le recenti riforme vengono colpiti interessi di gruppi più o meno piccoli, ma ben organizzati, che naturalmente vogliono difendere alcuni dei loro privilegi». Per il Presidente, «tutti noi dobbiamo però imparare che senza cambiamenti siamo condannati al declino». Sull'impegno italiano in Afghanistan, e sui dissensi su questo tema in seno alla maggioranza di centrosinistra, il Presidente ribadisce le sue preoccupazioni: «Trovo molto positivo che su questioni di tale importanza si verifichi un consenso trasversale. Una cosa tuttavia è chiara: se la maggioranza di governo non fosse coesa sulla questione della prosecuzione e del finanziamento della missione afghana e dovesse dipendere da voti decisivi dell'opposizione, ciò sarebbe un grave segno di debolezza del centro-sinistra. E ciò avrebbe delle conseguenze», dice. A proposito delle relazioni con l'America, Napolitano sottolinea come «l'amicizia con gli Usa sia stata sempre uno dei pilastri della politica estera italiana», cosa questa riconosciuta fin dagli anni settanta anche dal partito comunista. E qui parte un attacco proprio ai dissidenti. «Trent'anni dopo - afferma il Capo dello Stato - vi sono alcuni piccoli gruppi che mostrano ostilità verso gli Stati Uniti e la Nato». «Ma Rifondazione Comunista è pur sempre la terza forza della coalizione di governo», fa notare l'intervistatore. Al che Napolitano replica: «Ma come detto sono solo piccoli gruppi su posizioni anacronistiche, prive di realismo e con scarso seguito». Ancora più esplicito Fausto Bertinotti, sotto attacco della minoranza del suo partito. Il presidente della Camera prima ammonisce i movimenti sul fatto che non bisogna dividersi sul tema «al governo o no» perché anche quel passaggio può essere visto «non come un mezzo ma come un fine». E più chiaramente, parlando del voto sull'Afghanistan, invita la maggioranza a «dimostrarsi tale». Dunque, riconosce il valore di girotondini e similaria: sono fondamentali, sono uno degli strumenti attraverso i quali è stata denunciata la crisi del neoliberismo. Movimenti «con i quali la sinistra radicale non può non dialogare». Di qui l'invito a «non dividersi sul tema al governo o no, perché anche il passaggio di governo deve essere percepito in questo senso, non come mezzo ma com

Dai blog