Onu, Quirinale, Ingrao in campo per evitare la crisi
Poi a Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica. Quindi si è cercata la cara e vecchia carta che può far effetto a sinistra, soprattutto nell'estrema sinistra: il consiglio del grande vecchio. E in questo caso è stato chiamato in causa Pietro Ingrao, il vecchio leader operaista e idolo proprio dell'ala più a sinistra. Tutti in campo per scongiurare la crisi di governo. Non c'è che dire, l'Unione le sta davvero provando tutte. Mancano solo il Vaticano, la Croce Rossa e la Fao e poi sono stati invocati davvero tutti gli «enti» per evitare di far cadere Romano Prodi. C'è da chiedersi che cosa fare quando arriverà, perché arriverà, una seconda «quasi crisi» di governo. Da dieci giorni i vertici del centrosinitra hanno smosso mezzo mondo, è il caso di dirlo, praticamente per convincere soltanto i sette senatori della sinistra radicale dissidenti e che rischiano di far cascare il governo. Il 21 giugno il sottosegretario Vernetti (favorevole alla missione) è volato a Kabul a raccogliere la preghiera del governo locale: «Italiani, restate». Appello per giunta ripetuto tre giorni fa dal ministro degli esteri afgano, Spianta. Si sono ripetuti nel frattempo gli appelli di Unione Europea e della Nato. Poi è stato chiamato di gran corsa il segretario generale dell'Onu, che è giunto a Roma a spiegare che la presenza militare italiana in Afghanistan è «fondamentale». Due giorni fa l'appello di Napolitano, il quale ha evocato lo spettro della crisi. E ora è stato contattato Ingrao. Ma non è finita. I mazzi di fiori per corteggiare i «quasi» sette puttani stanno per arrivare copiosi. Il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, già a cominciato a mettere mano al vecchio armamentario di sinistra: è il Quarto Stato che chiede di evitare la crisi. «Il nostro blocco sociale - ha spiegato in un'intervista a Liberazione -, quelle centinaia di migliaia di precari, di disoccupati, di lavoratori, di pensionati, tutti coloro che giustamente pretendono un risarcimento sociale dopo cinque anni di governo delle destre, ci chiedono di non mettere a rischio l'esecutivo». «Al contrario - insiste il leader del partito di Fausto Bertinotti -, vogliono che andiamo avanti, che non ci limitiamo a grandi enunciazioni di principio ma che cambiano in concreto le loro condizioni di vita. Come abbiamo fatto, come stiamo provanbdo a fare con il documento finanziario. La nostra base sociale, composta per tanta parte dallo straordinario movimento pacifista di questi anni, ci chiede di non limitarci ad affermazioni identitarie. Ci chiede di sporcarci le mani, di insistere. Per costruire condizioni sempre più avanzate. Per costruire quelle condizioni che ci porteranno ad uscire dal pantano afgano». Siamo dunque agli appelli disperati. E siamo pure all'inizio della legislatura. Il centrosinistra sta spendendo tutte le sue carte. Carte che potrebbero essere gettate al vento già stamattina, quando si riuniranno i pacifisti, i girotondini, tutta quella estrema sinitra che proprio Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi hanno armato contro Berlusconi e che adesso punta proprio ai partiti di Bertinotti, Diliberto e Pecoraro Scanio i loro «cannoni». L'assemblea dei dissidenti, infatti, userà parole di fuoco contro i componenti del governo. E proprio per questo per l'esecutivo, più passano i giorni, più sembra indispensabile mettere la fiducia. Il decreto sull'Afghanistan, infatti, passerà comunque anche grazie ai voti del centrodestra. Ma per Prodi prendere atto che la sua maggioranza non c'è alla prima vera prova dei numeri su un provvedimento significa tanto. Si aprirebbe un «caso politico», tanto per usare le parole di Napolitano.