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Baffino prende le redini della coalizione: «Il nostro impegno non è agire al contrario di Berlusconi»

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È toccato di nuovo al vicepremier prendere in mano la situazione del governo. Alzare la voce, rispondere all'estrema sinistra (che in Italia adesso tutti chiamano sinistra radicale, in modo più dolce e soave) che contesta il decreto dell'Afghanistan. È toccato di nuovo a lui prendere per il collo (metaforicamente, s'intende) Vittorio Agnoletto e Giulietto Chiesa che contestano il provvedimento. E, insomma, è toccato ancora a lui rimettere a posto i pezzi di una coalizione che sembra sempre più in difficoltà ora che vanno sfumando i provvedimenti del governo Berlusconi da cancellare e bisogna passare alla fase propositiva. E non a caso proprio il ministro degli Esteri analizza: «Il provvedimento assunto (in questo caso si parla di Iraq, ma la sostanza non cambia, ndr) è coerente con gli impegni presi in campagna elettorale. Abbiamo assunto un impegno verso il Paese, non abbiamo preso l'impegno di fare le cose diverse da Berlusconi, ma di fare le cose giuste». Così, la minaccia (dell'altra sera) di abbandonare la Farnesina fatta ventilare nella riunione con gli eurodeputati del centrosinistra a Bruxelles pur di non accettare di fare «stravaganze», ha raddrizzato l'Unione. Il centrosinistra era ancora molto diviso, e soprattutto il premier Romano Prodi non aveva ancora nemmeno accennato ad avviare una trattativa interna. Restavano le divisioni, restavano i dissidenti, restavano le perplessità. E soprattutto restava una coalizione allo sbando, mentre la pressione internazionale stava crescendo di pari passo alle probabilità per tutto il Paese di fare una figuraccia. D'Alema ha rotto così gli indugi e ha deciso di alzare la voce, l'altra sera. Poi è rimasto a vedere che effetto facevano le sue parole. E le prime reazioni non erano da buttar via. Soprattutto in casa dei Verdi, dove Mauro Bulgarelli (uno dei dissidenti) apriva: «Un'intesa è possibile». E anche Oliviero Diliberto (Pdci) sembrava più morbido. Il ministro degli Esteri è anche andato oltre. È andato di persona alla riunione dei capigruppo dell'Unione a difendere il suo provvedimento, minaccia di dimissioni compresa. Il vicepremier ha fatto di nuovo il premier. O almeno il leader vero della coalizione, visto che il Professore - anche stavolta - ha tenuto una posizione defilata. Ma a Baffino è toccata in sorte anche un'altra situazione beffarda. Gli è toccato infatti difendere un provvedimento del governo dagli attacchi che provenivano da Rifondazione comunista. Proprio quel partito che Prodi pensava di aver imbrigliato consegnando la presidenza della Camera al suo leader, Fausto Bertinotti. E costringendo di fatto D'Alema a fare, in quell'occasione, un passo indietro. Rifondazione invece continua a insistere sulle sue posizioni. E laddove sembra più morbida, viene scavalcata a sinistra dai Comunisti Italiani. O dai Verdi. Che di fatto hanno una politica estera del tutto alternativa a quella che vorrebbe prendere il leader dei Ds. Il risultato è che, come spiega un esponente vicino al ministro degli Esteri, D'Alema non vuole aprire con l'Afghanistan un precedente: contrattare con le ali estreme della coalizione punto su punto la sua linea. Con il risultato di dover cedere, prima o poi, a qualche «stravaganza». Che finirebbe anche per metterlo sul ridicolo a livello internazionale. E per questo, visto il silenzio di Prodi, ha alzato la posta: prendere o lasciare.

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