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Napolitano si sente già Pertini

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Riuscirà Giorgio Napolitano, undicesimo presidente della Repubblica italiana, a prendere il posto che Sandro Pertini occupa nel cuore degli italiani dall'undici luglio dell'82? Da quella sera in cui la nazionale di allora guidata da Enzo Bearzot e capitanata da Dino Zoff vinse i Mondiali di calcio più imprevedibili e avvincenti della moderna storia del calcio? Da allora Pertini con le braccia alzate a incitare e festeggiare gli undici in campo, accanto a uno stupìto re Juan Carlos, è un'icona dell'Italia contemporanea. La rappresentazione di uno di quei rari momenti in cui la distanza sempre lamentata tra politica e società sembra non esistere più. Anche grazie a quell'episodio si può dire che Pertini è stato il più amato presidente italiano. Ma allora per Giorgio Napolitano la partita è difficilissima? Sì, ma vale la pena di giocare, l'occasione è ghiotta. Lui stesso ammette: «Non so se sono capace di saltare come Pertini...». Ma cosa c'è di meglio di un bagno di popolarità e di folla per far dimenticare gli anni passati nelle stanze di Botteghe Oscure? Cosa può essere di maggior aiuto per costruire un'immagine unificante e nazionale di se stessi e dell'istituzione che si guida, se non una grande - grandissima - partita di calcio seguita nello stesso stadio cuore a cuore con i giocatori che Lippi ha voluto in campo? Confessa il primo cittadino d'Italia: «Proprio non prevedevo di festeggiare i due mesi dalla mia elezione a Presidente alla finale della Coppa del mondo. Mai in questi due mesi ho sentito di rappresentare tutti gli italiani come oggi». Napolitano, dunque, lo sa e per questo ieri è arrivato a Berlino sperando innanzi tutto di portare un po' di fortuna, come è successo meno di una settimana a Prodi. Il premier giunto in Germania per la semifinale si è presentato con la sua «fama» (ha vinto le elezioni con una manciata di voti, tanto per fare un esempio) di uomo fortunato, e non è stato smentito. Certo per Prodi il calcio e lo sport in generale sono passioni di lungo corso, di una vita. Per Napolitano la storia è un po' diversa. Uomo di apparato, figlio della borghesia intellettuale napoletana per quanto comunista non proprio popolare nei gusti e nello stile, non si ricordano nella sua biografia particolari contatti con lo sport più amato dagli italiani. Certo quando il Napoli club era quello di Maradona qualche partita se l'era pure seguita l'allora deputato comunista di Bagnoli, però niente a che vedere con il tifo di una vita che il presidente Pertini fece per la squadra della sua città, il Genoa. Il calcio gli era familiare, pare addirittura dai tempi della reclusione sotto il regime fascista. Tra carcere e confino l'unico svago concesso erano proprio rare partite di calcio, di cui i condannati approfittavano per sgranchirsi le gambe. Tra l'altro uno dei migliori amici di Pertini, nonché sua portavoce per due anni al Quirinale, era Antonio Ghirelli, uno dei maggiori storici del calcio italiano. Ma al di là della passione personale, il vecchio socialista ligure aveva molto chiaro che popolarità e calcio andavano a braccetto. Per Pertini la vittoria dell'Italia ai Mondiali dell'82 fu l'apice di un settennato speso a costruire una sua immagine popolare, quasi al limiti della demagogia, ma con un impegno sincero nel valorizzare un'idea di nazione democratica fino allora estranea alla cultura politica italiana. L'Italia prima di lui era il paese dei partiti e dei campanili. Dopo di lui l'Italia divenne non solo quella della nazionale, ma anche quella di un centro di potere - il Quirinale - aperto ai cittadini e più attento ai loro bisogni. Per Napolitano la strada è più difficile. Dopo Pertini e dopo Ciampi rinventarsi ancora un'idea di nazione non è affatto facile. Pertini è stato il presidente della gente, Ciampi quello delle bandiere, Napolitano vorrebbe essere quello dei fatti. Infatti da quando è arrivato al Qui

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