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I TORMENTI DEL CENTROSINISTRA

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Dall'altro, nella Cdl emergono di volta in volta posizioni non strettamente in linea con una strategia di «opposizione dura» come vorrebbe il suo leader, Silvio Berlusconi. Ultime quelle degli ex ministri Martino e Prestigiacomo sul pacchetto Bersani, per non parlare del discorso di Pisanu a Todi, un intervento molto autocritico e che ha messo in discussione l'alleanza (già precaria dopo il referendum) con la Lega Nord, e della proposta del forzista Giuseppe Gargani di sciogliere Forza Italia per «creare un partito che diventi la sezione italiana del partito popolare europeo». Certo forse è ancora presto per dire che Prodi, di fronte alla sola possibilità di una crisi scatenata da Rifondazione e Pdci, cerchi apertamente nuove alleanze fra i centristi. Però è sintomatico il fatto che il Dpef è stato approvato dal Consiglio dei ministri senza il voto del responsabile della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, di Rifondazione. Come lo è l'atteggiamento del Prc e del Pdci sulla missione in Afghanistan, che ha fatto ipotizzare al ministro della Difesa Arturo Parisi il pericolo di una grosse koalition con la Cdl. Di fronte a un'Unione sempre più disunita, litigiosa e «border line» da un punto di vista della stabilità governativa, tuttavia, il Professore non può non lanciare, per il futuro, anche uno sguardo all'esterno della sua compagine. E, secondo molti, lo sta già facendo. In questo quadro, l'atteggiamento di sensibilità economica e consapevolezza politica di una parte dell'Udc può essere considerato una cartina al tornasole delle difficoltà all'interno delle due coalizioni. Anche perché le stesse «pulsioni» esistono in Forza Italia (e il discorso dell'ex ministro dell'Interno ed ex democristiano a Todi ne è un indizio se non una prova) e in Alleanza nazionale, anche se sono meno manifeste, più «silenziose». Per alcuni commentatori politici c'è addirittura il «rischio» che l'Udc e la Lega cerchino «paci separate» con il vincitore delle elezioni di aprile e a questo sarebbe riferito l'appello di Sandro Bondi a non «cadere nella palude centrista». Mentre gli avvertimenti di Pisanu alla Lega confermerebbero il tramonto dell'«asse del Nord». Un'eventualità che, per quanto riguarda il partito di Cesa e Casini, viene recisamente smentita da Bruno tabacci, che ieri ha precisato che l'Udc non farà da «stampella» a Prodi. Le presunte «aperture» di Pier Ferdinando Casini su singoli temi, come ad esempio il rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan che rischia di vedere il governo finire in minoranza, sono squisitamente nel merito. Non politiche. «Il problema di nuove alleanze al di fuori della maggioranza riguarda solo la maggioranza - spiega Tabacci - l'Udc non è un sostituto di pezzi della maggioranza ma è, invece, per un'opposizione intelligente». Dichiarazioni che giungono in una fase di prepotente «trasversalità» all'interno dei due Poli. Oltre a ricordare l'assenza del senatore del Gruppo Misto Giovanni Pistorio al voto di fiducia sul governo Prodi (che lui giustificò con «motivi tecnici» ma fu interpretato da alcuni come fatto politico), in questo senso sono emblematiche, come accennavamo sopra, le affermazioni di Gargani su FI e il Ppe. Il problema è anche che l'esecutivo Prodi sta giocando in contropiede. Almeno finora va avanti a colpi di decreti che idealmente non possono essere certo considerati «di sinistra», una politica liberale e liberista che spiazza il centrodestra, costretto a inseguire le iniziative di Palazzo Chigi sul proprio terreno. Ma se la crisi permanente interna all'Unione dovesse aggravarsi e il centrosinistra non riuscisse a trovare e a definire un proprio equilibrio, il Professore avrebbe due possibilità: far partire, dopo gennaio, una vasta campagna acquisti di deputati e senatori dell'opposizione cooptati singolarmente e «a titolo personale»; oppure chiedere la collaborazione alla minoranza, proponendo a Berluscon

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