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ALLE COMMISSIONI DIFESA

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Lasciare invece l'Iraq entro l'autunno, ma «valutando con le altre parti interessate e con il legittimo Governo iracheno il miglior calendario di rientro»; in modo da salvaguardare l'incolumità di tutti e scongiurare «vuoti pericolosi di responsabilità e di potere». È questo quello che il governo proporrà al Parlamento fra pochi giorni riguardo alle due più importanti missioni militari italiane all'estero. A confermarlo è stato ieri il ministro della Difesa Arturo Parisi nel corso della sua audizione alle commissioni riunite Difesa di Camera e Senato dedicata all'illustrazione delle linee programmatiche del suo dicastero. Parisi, per quello che riguarda in particolare la questione irachena ha però aggiunto, a conferma che «la conclusione della missione Antica Babilonia non equivale tuttavia a un disinteresse verso la situazione e la sorte di quel Paese» che l'Italia manterrà in Iraq attività prevalentemente civili, ma anche «la formazione e l'addestramento dei quadri militari e della Polizia». Il ministro ha poi avuto modo di ribadire l'adesione convinta dell'Italia alle strategie della Nato «che è e resta il fondamento della difesa collettiva del continente», e ha anche aggiunto che «non esiste e non può esistere alcuna frattura tra le due dimensioni, quella atlantica e quella europea, di una politica di sicurezza che è unica». Anche se subito dopo ha voluto sottolineare che, come nel caso della guerra a Saddam Hussein, «le divergenze possono talvolta essere state anche marcate». In ambito più direttamente connesso alle sue competetene interne Parisi ha poi avuto parole di apprezzamento (in netta controtendenza rispetto a quanto dichiarato invece pochi giorni fa in Parlamento dal ministro dell'Interno Giuliano Amato) per quella norma specifica della legge che ha abolito la leva militare che riserva la priorità per l'accesso in polizia ai volontari delle Forze armate. L'ha definita infatti un «punto qualificante del rapporto tra le Forze armate e le Forze di polizia», in quanto consente a queste ultime di «incorporare personale che può vantare un'esperienza più ampia, rispetto a quella di chi proviene direttamente dalla vita civile». Del resto ha detto anche che il suo dicastero «è pienamente convinto della necessità di un efficace e funzionale coordinamento dell'Arma dei carabinieri con le altre forze di polizia nell'ambito del ministero dell'Interno». Citando come esempio di intesa e proficua collaborazione fra le due strutture dedicate all'ordine pubblico il fatto che la recentissima nomina del nuovo comandante generale dell'Arma sia stata condivisa col Viminale, nonostante la normativa in merito preveda la proposta esclusiva del ministro della Difesa.

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