Un mese fa l'entusiasmo Oggi a Palazzo Chigi prevale il pessimismo
È stato proprio uno degli uomini di fiducia del professore, Arturo Parisi, ministro della Difesa, ad evocare lo spettro delle elezioni anticipate, appena qualche giorno fa. Senza giri di parole: «Agli elettori dovremmo tornare nel momento in cui la nostra alleanza dovesse venire meno». Nessun colpo di sole. La spiegazione sta nei tormenti che in questi giorni sta vivendo l'Unione per approvare il decreto sul rifinanziamento delle missioni di pace all'estero ed in particolare su quella in Afghanistan. Ma anche su tutti gli altri provvedimenti il centrosinistra ha mostrato crepe, al punto che ha trovato l'unità solo nello smontare i provvedimenti di Berlusconi. In politica estera a dare battaglia sette senatori «ribelli» della maggioranza ed in particolare della sinistra radicale e pacifista con in testa il Pdci di Oliviero Diliberto che, anche se pubblicamente smentisce di voler mettere in crisi la maggioranza, incalza l'Unione. Per carità alla fine un accordo sarà trovato evitando così crisi di governo e nuove elezioni. Probabilmente la quadra ci sarà nella mozione che accompagnerà il decreto di rifinanziamento, definendo le regole di ingaggio e il futuro stesso della missione. Ma la vicenda comunque rimane singolare. Ed è bastato il primo caso vero, la prima vera decisione da prendere per mandare in frantumi persino l'entusiasmo per una vittoria risicata di meno di tre mesi fa. Soprattutto se si pensa che alla vigilia delle elezioni il nuovo Governo dell'Unione veniva presentato come quello che avrebbe «restituito fiducia all'Italia» e «affidato il Paese in mani più sicure» (Piero Fassino). Oppure sarebbe stato in grado di far «voltare pagina al Paese che non ne può più di una politica fatta di balle, improvvisazioni e colpi di scena» (Massimo D'Alema). In verità il vero colpo di scena sarebbe quello di un Governo nato per «ridare speranza al Paese» e che in meno di due mesi si è sciolto. Come detto non capiterà, ma non per questo mancano i colpi di scena. Uno lo ha riservato Massimo D'Alema, ministro degli Esteri, con le sue dichiarazioni a margine del G8 di Mosca di tre giorni fa. A differenza di Parisi non ha evocato gli spettri di una crisi di governo ma ha tenuto a precisare chiaramente che in questa vicenda «è in gioco la credibilità di una maggioranza politica che deve essere in grado di sostenere la politica estera del governo» e che «non è pensabile una maggioranza che non ha la capacità di sostenere i provvedimenti di politica internazionale decisi dal governo». Colpo di scena. Che fine ha fatto il D'Alema che in campagna elettorale invitava gli italiani a votare il centrosinistra «per aiutare l'Italia a riprendere il cammino»? Non da meno Francesco Rutelli, ministro dei Beni Culturali, che oggi si rivolge ai senatori «ribelli» rivendicando la sottoscrizione di «un compromesso trasparente con la sinistra radicale e quel compromesso va reciprocamente rispettato», ma in campagna elettorale prometteva «cinque anni di equilibrio al governo» o assicurava che dopo il voto «ci rimboccheremo le maniche per far crescere l'Italia al posto che le spetta». Di certo nessun riferimento a compromessi con la sinistra radicale. Ed al carosello di dichiarazione elettorali non si astenne il ministro Parisi che dopo la proclamazione della risicata vittoria ulivista da parte della Corte di Cassazione era pronto «a brindare alla vittoria e soprattutto cominciare a lavorare alla definizione delle risposte ai problemi del Paese». Speriamo soltanto che per lui e per l'Unione alla fine non siano altri a brindare.