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di NICOLA IMBERTI VENERDÌ aveva provato a giocare d'anticipo con una lunga intervista su Repubblica ...

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Tentativo meritevole, ma che non è bastato a Piero Fassino per uscire dall'angolo in cui sembra essersi infilato con le sue stesse mani. Costretto a cedere il passo a Massimo D'Alema nella corsa alla poltrona di vicepremier, il segretario della Quercia aveva scelto il partito democratico per giocare la sue carte. Ma oggi quella che sembrava essere la sua strada per il successo, rischia di trasformarsi nel suo capolinea. Fassino è rimasto solo davanti a un bivio: rinunciare al partito democratico e, quindi, alla possibilità di tornare nel «giro che conta», o forzare la mano e rischiare la spaccatura dei Ds? Già perché il problema del partito democratico, oggi più che mai, sembra essersi trasformato in una questione tutta interna alla Quercia. Ieri a Roma si è riunita la sinistra interna a via Nazionale e il messaggio è stato chiaro: se Fassino e la dirigenza del partito pensano di continuare nella costruzione del nuovo soggetto sappiano che noi non saremo con loro. Dal palco del teatro Quirino Fabio Mussi, leader del Correntone Ds, non ha usato perifrasi. «Se in tempi certi nascerà il partito Democratico - ha detto -, quello non potrà essere il mio, il nostro partito». E scroscio di applausi dalla platea. Quindi il ministro dell'Università ha affondato il coltello nella piaga. «Caro Piero - ha continuato rivolgendosi a Fassino -, a questo punto le strade sono due: si prenda atto che il progetto di una fusione tra Ds e Margherita non ce la fa ad affermarsi, che non c'è lo spazio storico di un partito unico. Si dichiari una esplicita correzione di rotta politica». Se così non sarà Mussi, che nel frattempo ha cortesemente rifiutato l'invito di Fassino ad entrare nella segreteria del partito (probabilmente per non subire ricatti), ha chiesto di andare a un Congresso in tempi «certi e ravvicinati». «Non si sciolgono i Ds - ha aggiunto -, non si fonda il partito Democratico, senza un congresso». La palla ora torna nella mani di Fassino che, ieri, ha delegato a Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria della Quercia, la replica alle obiezioni di Mussi e delle altre minoranze (anche il leader di Sinistra Ds per il Socialismo Cesare Salvi è contrario al progetto, mentre la Mozione Ecologista guidata da Fulvia Bandoli ha lanciato l'idea di una «federazione dell'Ulivo»). «Il passaggio dall'Ulivo - ha detto Migliavacca - come soggetto politico all'Ulivo, come soggetto politico democratico e riformista, richiede dunque un confronto delle idee a cui anche il punto di vista critico, rappresentato dalle minoranze dei Ds, può dare un contributo importante». La situazione, però, sembra tutt'altro che semplice. Anche perché, negli ultimi giorni, un certo scetticismo sul progetto è cominciato a serpeggiare anche all'interno della maggioranza del partito con Gavino Angius, Giuseppe Caldarola e Luciano Violante che hanno stigmatizzato il metodo con cui i vertici della Quercia stanno avallando la «fusione» con la Margherita. Come se non bastasse a via Nazionale qualcuno (c'è chi dice lo stesso Fassino) ha cominciato a domandarsi se in un soggetto unitario Ds-Dl non saranno proprio quest'ultimi, da «vecchi democristiani», a fare incetta di poltrone e poltroncine. In uno scenario di questo tipo gli unici che ancora sembrano credere insistentemente nel progetto sembrano essere i sindaci. Su tutti Sergio Chiamparino (che anche ieri ha parlato di un'assemblea costituente nel marzo del 2007) e Walter Veltroni che, dopo due legislature alla guida della Capitale, sarebbe ben contento di mettersi alla guida del nuovo soggetto. Anche da questo fronte, però, potrebbero arrivare problemi per Fassino. Se infatti non nascerà il Pd, qualcuno dice che i sindaci sarebbero addirittura pronti a dar vita ad una propria forza e la Quercia vivrebbe comunque una scissione. Il 13 luglio è convocato il Consiglio nazionale dei Ds. Fassino sta già preparando la contromossa

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