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di MARZIO LAGHI UN intervento lungo, dettagliato, che ha toccato tutti i temi della politica estera italiana.

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E ha toccato tutti i punti: dal ritiro dall'Iraq alla politica in Afghanistan (domani il ministro della Difesa Arturo Parisi sarà a Kabul in visita alle nostre truppe), dal «caso Calipari» alla richiesta di chiusura — da presentare agli Stati Uniti nel viaggio a Washington che il vicepremier inizierà domani — del carcere di Guantanamo. E c'è stato anche spazio per un botta e risposta con il suo predecessore, Gianfranco Fini, a proposito del nostro impegno militare in Iraq. Proprio dal nostro impegno nel paese arabo è partito D'Alema, per spiegare che «non ci sarà nessun abbandono disordinato delle posizioni che l'Italia ha ricoperto in questi anni». D'Alema ha ribadito che «i nostri soldati rientreranno in Italia nei prossimi mesi, comunque entro il 2006, con tempi tecnici e modalità compatibili con le esigenze di sicurezza dei nostri soldati, della popolazione locale, delle forze multinazionali che resteranno sul terreno», chiarendo che il ritiro dei militari «non significa la fine del sostegno italiano all'Iraq». Riguardo il Prt (Provincial reconstruction team) di Nassiriya, D'Alema ha spiegato che lungi dall'essere una missione «sostanzialmente civile», avrebbe richiesto un «rilevante contributo militare che ci è parso incompatibile con gli impegni politici assunti dall'attuale maggioranza al governo». «Noi abbiamo valutato con serietà i diversi programmi che erano stati predisposti — ha proseguito — e ci siamo trovati di fronte all'ipotesi che nell'area di Nassiriya permanesse un impegno italiano con quello che la coalizione ha programmato sotto il nome di Prt, parlando di questa missione come una missione "sostanzialmente civile", secondo le parole dell'ex ministro Martino». Poi però ha detto di essersi «personalmente reso conto che la missione denominata provvisoriamente "Nuova Babilonia" era una missione con un così rilevante contributo militare soltanto quando ho letto il progetto di cui nessuno era stato informato e questo progetto è apparso incompatibile con i nostri impegni elettorali e anche rischioso». A quel punto è intervenuto il leader di An Gianfranco Fini che ha accusato D'Alema di aver riportato affermazioni imprecise sull'intenzione del governo Berlusconi di lasciare militari italiani in Iraq a protezione di una missione civile. Il ministro degli esteri ha subito risposto piccato interrompendo il leader di An: «Da nessuna parte era stato detto che per proteggere 15 tecnici sarebbero rimasti 1000 soldati. Non era stato detto, tutto qua, niente di drammatico». Lapidaria la replica di Fini: «Lei ministro non è informato. Si informi presso gli uffici del suo dicastero prima di accusare ingiustamente un ministro». A parte il battibecco però Fini è rimasto sostanzialmente soddisfatto del discorso di D'Alema: «Sarei pronto a sottoscrivere i 4/5 dell'intervento del ministro degli Esteri». Dure invece le parole di D'Alema nei confronti degli Stati Uniti sul caso della morte di Nicola Calipari, il dirigente del Sismi ucciso il 4 marzo 2005 a Baghdad mentre portava in salvo la giornalista Giuliana Sgrena. «Ci saremmo aspettati la collaborazione americana con la giustizia italiana nella ricerca della verità e nell'accertamento delle responsabilità», ha spiegato. Aggiungendo che comunque la questione sarà affrontata con il segretario di Stato Usa, Condoleeza Rice. A maggio il Dipartimento di giustizia americano aveva comunicato in modo definitivo, al ministero della Giustizia italiano, di non poter fornire ulteriori informazioni sull'uccisione del funzionario del Sismi oltre a quelle contenute nel rapporto del Multi-National Corps-Iraq, già trasmesso al governo italiano. In pratica è stata la conferma che non sarà accolta la rogatoria della procura di Roma per avere la comunicazione ufficiale dei nomi dei componenti della pattuglia americana che il 4 marzo 2005 aprì il fuoco contro la vettura su cui viaggiava Calipari insieme a Giuliana Sgrena, subito dopo il rilascio della giornalista.

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