Il Cav non convince l'Udc
Partito schierato sul «sì». Ma lasciando libertà di coscienza
Viceversa, ci dicono le urne, accade esattamente il contrario. Ma l'ex premier Berlusconi e gli alleati della Lega Nord non la pensano così. Il Cavaliere punta molto sul referendum costituzionale di giugno. E l'ex ministro Maroni gli chiede di «drammatizzare» la campagna referendaria. Una posizione più cauta e saggia è stata invece adottata dall'Udc. Il partito di Casini e Cesa, schierato con il «sì» ma con qualche perplessità (ad esempio sul rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio), tenterà di convincere il Cavaliere a a rinunciare a una propaganda politicizzata e aggressiva. E non darà alibi alla Lega che, neanche tanto fra le righe, fa già intendere per bocca di Maroni che se dovessere vincere il «no» al referendum (vanificando il processo della devolution) cercherà nuovi alleati «in modo spregiudicato e senza pregiudizi». Traduzione logica: via dalla Cdl e a fianco dell'Unione. Il ragionamento che si fa a via Due Macelli è semplice. Al referendum rischia di votare solo il 20-30% degli aventi diritto. Se la riforma costituzionale venisse confermata, il centrosinistra può sempre dire che il 24 e 25 giugno si è espresso solo il 16% del Paese e che il voto non era «politico». Se vincessero gli abrogazionisti, per il centrodestra sarebbe la terza batosta consecutiva. In ogni caso, quindi, l'atteggiamento di Berlusconi e della Lega può sortire un effetto-boomerang e fungere da cemento per il centrosinistra. Ecco quindi che il 7 giugno gli Stati generali dell'Udc si svolgeranno all'insegna del dialogo e della tolleranza. Molto probabilmente, ne uscirà una posizione ufficiale per il sì senza tuttavia rinunciare ad un'apertura dialettica verso chi, come Follini, ha manifestato l'intenzione di votare no.