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«Prodi è il leader del partito democratico. Che nascerà nella primavera 2007»

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E come «pomo della discordia» il futuro partito democratico. Proprio «la cosa» che dovrebbe unificare in un'organizzazione figlia dell'Ulivo due anime del centrosinistra (quella diessina, percorsa a tratti da fibrillazioni radicali, e quella moderata della Margherita, che cerca di mantenere l'equilibrio fra le sue componenti cattolica e laica) sembra all'origine di divergenze che oppongono i tre leader. L'ultima «uscita», che rappresenta l'ennesima «stecca» nella già entropica sinfonia suonata dalla compagine guidata da Prodi, è del presidente Ds-vicepremier-ministro degli Esteri. In un'intervista al giornale tedesco «Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung» ripresa domenica da «Repubblica», D'Alema spende poche ma significative parole sul partito democratico. Che dice in sostanza il «lìder Maximo»? Alla domanda sulla data di nascita prevedibile della nuova «entità» politica, risponde che il «parto» avverrà molto probabilmente nella «primavera del 2007». A quella sulla leadership dà una replica più sibillina ma ugualmente indicativa: «Molti elementi parlano a favore del fatto che, come nel caso tedesco, il capo del governo sia anche il capo del più grande partito di governo». Un messaggio, come dicevamo, piuttosto chiaro, tanto che il quotidiano diretto da Ezio Mauro ci ha fatto il titolo: «Prodi può assumerne la guida». Dichiarazioni che contrastano con quelle rilasciate dal segretario della Quercia il 21 maggio: «Dopo aver fatto le primarie per scegliere Romano Prodi, non credo che nessuno possa più pensare che la leadership dell'Ulivo o del governo venga scelta in altro modo», aveva detto Piero Fassino nello studio di Lucia Annunziata. Una discrasia (negata dai portavoce diessini e comunque ormai archiviata») che può essere interpretata come volontà di D'Alema di ribadire la leadership all'interno del Botteghino. Però il punto dolente è un altro. E si trova fuori dai confini della Quercia. È lecito, infatti, pensare che nel «mirino» dei due esponenti diessini ci sia il leader della Margherita-vicepremier-ministro dei Beni Culturali e Turismo Francesco Rutelli. Perché? Semplice: Rutelli vorrebbe diventare lui il leader del «pd» e poi il lungo e cencelliano totonomine per assegnare le poltrone dei dicasteri prodiani si è concluso con l'amaro in bocca per i Democratici di sinistra. Fassino è rimasto fuori da Palazzo Chigi, sebbene saldo alla guida del partito. D'Alema ha fatto due volte il passo del gambero, rinunciando elegantemente prima alla presidenza della Camera, poi a quella della Repubblica. In più, nessuno dei due voleva un doppio vicepremierato nell'esecutivo del Professore. E, come se non bastasse, c'è la questione-Bettini. Il sindaco della Capitale voleva il dalemian-veltroniano inventore del «modello Roma» sulla poltrona dei Beni Culturali. Rutelli si è messo in mezzo e, agli occhi dei diessini, ha scippato l'incarico a Goffredo Bettini. Il «premio di consolazione» (il ministero della Funzione Pubblica) sarebbe stato rifiutato dal diretto interessato, rimasto quindi a bocca asciutta. Un boccone avvelenato che in via Nazionale non è stato ancora digerito. Ecco, quindi, che il malumore si traduce nelle dichiarazioni prima del segretario e poi del presidente del partito più forte dell'Unione. Inoltre, al di là del discorso sul leader del «bruco Ulivo» che dovrà trasformarsi nella «farfalla partito democratico», è importante leggere tra le righe dell'intervista di D'Alema quando fa riferimento alla data. Forse, per capire quello che sta succedendo fra i tre «unionisti», è bene valutare le reazioni del rutelliano Renzo Lusetti all'intervista di D'Alema. D'accordo con il vicepremier sul fatto che «il capo del governo sia anche il leader del più grande partito di maggioranza», Lusetti esprime perplessità sui tempi: «Nel 2007 - spiega - non saremo pronti, ma si svolgeranno i congressi dei due partiti per avviare il processo costituente. Non condiv

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