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Ex Cirielli all'esame della Consulta

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Il 7 giugno i giudici della Consulta esamineranno a porte chiuse, in camera di consiglio, il primo dei tanti ricorsi presentati contro la riforma, che è stata oggetto di proteste tanto dalla magistratura, quanto dall'avvocatura. Sarà un esame che verrà seguito con grande attenzione sia dalla maggioranza che dall'opposizione che su questa delicata materia si sono dati battaglia nella scorsa legislatura. La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata da un magistrato di sorveglianza di Livorno e riguarda l'articolo 7 della legge, che ha modificato la disciplina sulla concessione dei permessi premio per i recidivi previsti dalla legge Gozzini, inasprendo il relativo trattamento. In particolare il giudice ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla norma che ha aumentato la soglia di pena espiata necessaria per accedere al beneficio: se prima, per esempio, un condannato a più di tre anni di reclusione per avere un permesso premio doveva aver scontato un quarto della pena, ora con la ex Cirielli deve aver espiato la metà della sua condanna. Il magistrato di sorveglianza di Livorno ha invitato i giudici costituzionali a dire la loro pure sull' applicabilità della norma anche ai condannati per delitti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma, in «violazione del principio della irretroattività della legge penale». Secondo il suo ricorso queste novità stridono con due norme della Costituzione: l'articolo 25 che espressamente prevede che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso; e l'articolo 27 che stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Proprio la violazione del principio della rieducazione del reo è stato uno dei punti di forza della protesta degli avvocati penalisti, che contro la ex Cirielli hanno attuato più giornate di sciopero. Una battaglia che per una volta ha visto avvocati e magistrati dalla stessa parte. La ex Cirielli è stata infatti duramente contestata anche dall'Associazione nazionale magistrati, dal Consiglio superiore della magistratura e da esponenti autorevoli dell'ordine giudiziario, come il primo presidente della Cassazione che in un convegno organizzato dai penalisti definì la riforma un «obbrobrio» e disse che avrebbe portato la giustizia alla «bancarotta».

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