Il ministro degli Esteri «A giugno il contingente passerà da 2.700 a 1.600 unità A dicembre tutto concluso»
Lo spot, che tutti ricorderanno, giocava su una telefonata fiume tra due fidanzati in cui l'innamoratissima ragazza costringeva il suo Marco a un terzo grado fatto di «Mi ami, ma quanto mi ami? Mi pensi, ma quanto mi pensi?» e via così. Forse memore di quel dialogo surreale, il centrosinistra, da giorni, litiga e si interroga attorno ad un punto: il ritiro dall'Iraq sarà rapido, ma quanto rapido? E ovviamente ogni «cespuglio» dell'Unione non perde l'occasione per dare la sua personale risposta. Così, anche ieri, nonostante la consegna del silenzio è stato tutto un susseguirsi di esternazioni. Dopotutto la giornata era partita nel peggiore dei modi con il leader dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto che, dalle pagine del Corriere della Sera, ammoniva: «Ritiro subito. Entro agosto». Un avvertimento in vista del vertice a tre tra il presidente del Consiglio Prodi, il ministro degli Esteri D'Alema e quello della Difesa Parisi organizzato ad hoc per definire tempi e modalità della «exit strategy». Ma, mentre a Roma Prodi e i suoi tentavano di tradurre nei fatti quel «rapido ritiro» altrove, a Washington, George W. Bush e Tony Blari mettevano in scena un'imbarazzata recita ammettendo i «passi falsi» della campagna irachena, ma evitando accuratamente di fissare date e tempi certi per il rientro delle truppe. Anche Prodi avrebbe voluto rinviare più a lungo possibile una discussione che rischia di essere dilaniante e così, terminato il vertice, tutti si sono allontanati senza proferire parole. Col passare delle ore, però, l'intera vicenda è sfuggita di mano al Professore. Il primo a parlare è il sottosegretario alla Difesa, il diessino Lorenzo Forcieri che, rispondendo a Diliberto annuncia che le truppe non verranno ritirate prima di settembre (posizione condivisa anche dall'Udeur) e che 600-800 militari italiani resteranno comunque in Iraq per garantire la sicurezza della missione umanitaria. Segue il leader della Margherita Francesco Rutelli che prova a mediare: «La data verrà decisa insieme da tutti noi». Ma, non appena le agenzie battono la notizia che palazzo Chigi ha indicato come primo punto dell'agenda politica il ritiro dall'Iraq, i partiti della sinistra più radicale passano al contrattacco. Tutti da Rifondazione ai Verdi fino ai Comunisti Italiani concordano su un punto: il ritiro deve essere completo. E Diliberto rilancia: deve avvenire entro agosto. Tocca a Massimo D'Alema (dopo una giornata di silenzio) tentare di mettere ordine nella ridda di dichiarazioni. Le sue parole, però, non fanno sicuramente piacere a Diliberto visto che, per il momento, l'exit strategy delineata dal ministro degli Esteri ricalca quasi completamente quella prevista dal precendente governo. «Non più tardi di giugno - dice D'Alema in un'intervista alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung che uscirà domani - l'attuale contingente italiano in Iraq verrà ridotto da 2.700 a 1.600 uomini, e al più tardi entro l'anno, la nostra presenza militare in Iraq sarà conclusa». Frasi che il ministro, in serata, ospite di Giuliano Ferrara a Otto e mezzo, evita strategicamente di ripetere. «Rispetto al precedente governo ci sono diversità perché il governo sta lavorando ad un disimpegno militare effettivo e pieno» dice D'Alema. «Il ritiro è deciso - continua -. I tempi tecnici dipendono da diversi fattori; lascerei queste questioni alla valutazione dei militari. Noi abbiamo avviato questa operazione e la realizzeremo, ci vorrà un pò di tempo per ragioni tecniche». Dietro le misurate dichiarazioni del ministro si nasconde in realtà una precisa strategia politica. Il processo di ritiro avviato dal governo Prodi prevede infatti delle tappe obbligate: concordare le mosse con il governo iracheno e con Stati Uniti e Gran Bretagna, trasformare l'attuale missione militare in una missione umanitaria e assicurare le necessarie garanzie ai civili impegnati sul territorio. Di tutti questi a