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«Prodi ha tradito le promesse sulle donne»

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La presidentessa della Fondazione Bellisario: «Profondamente delusa dal Professore»

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E solo una di loro «indipendente» economicamente o, come si dice in gergo tecnico, munita di «portafoglio». I ministeri «rosa» del governo Prodi sono pochi e, se si fa eccezione per la Salute «concessa» alla diessina Livia Turco, anche «poveri» e di contorno. Quasi tutti fanno parte del dipartimento della Presidenza del Consiglio. Quindi, almeno sulla carta, saranno alle «dirette dipendenze» del premier. Parole al vento, quelle del Professore? Promesse tradite? Assicurazioni machiavelliche funzionali alla campagna elettorale? Risultato del maschilismo imperante nel mondo della politica? Questo e di più pensa Lella Golfo, che nel 1989 ha creato al Fondazione intitolata a Marisa Bellisario e oggi si dichiara «profondamente delusa» dall'esecutivo di centrosinistra. Ci spiega esattamente perché? «Non è stato rispettato l'accordo del 30 per cento di donne tra i ministri. Anche se, a dir la verità, in seguito Prodi aveva parlato di almeno sei donne a capo di un dicastero. E questo lo ha fatto». Allora nessuna promessa da marinaio? «Al contrario. La cosa che ci amareggia di più, al di là dei numeri, è che un solo ministro sia dotato di portafoglio. Quindi le altre sono di "serie b". Invece, un governo che voleva cambiare le cose davvero, non poteva limitarsi a questo». Perciò Prodi ha penalizzato molto le donne? «Certo. Quelle cinque neoministre non dovevano essere mortificate, meritavano molto di più...». Che cosa meritavano? «Di essere trattare come uomini». Oltre il discorso dei fondi a disposizione o meno dei singoli dicasteri, come giudica la qualità della scelta? «Famiglia, giovani, pari opportunità. Sono tutti incarichi che fanno riferimento a un'immagine di donna d'altri tempi». Invece... «Invece si era detto che la Bonino sarebbe andata alla Difesa, la Lanzillotta all'Innovazione, la Bindi all'Istruzione. E, secondo me, sarebbe stata una scelta valida. Come si sono ridotti a questo?». Bisognerebbe chiederlo al presidente del Consiglio. Ma queste che ha citato lei erano indiscrezioni. Possono sempre dire che siamo noi giornalisti ad aver forzato la mano... «Non è così, perché nelle tribune politiche e negli altri interventi tv sembrava ci dovesse essere una grande svolta al femminile. Ed era quello che ci aspettavamo». Se è per questo, un'altra promessa mancata è stata quella del vicepremierato... «Infatti un vicepresidente doveva essere donna. E ci ritroviamo con due uomini. Una promessa doppiamente tradita». Aggiungo che anche chi ha fatto la campagna elettorale per l'Ulivo, come la segretaria dei Repubblicani Europei, non è stata certo premiata. «Infatti. Luciana Sbarbati non ha avuto nulla. E poi mi sembra, a leggere le prime dichiarazioni della Pollastrini, che ci sia molta delusione fra le neoministre». Lei è favorevole alle «quote rosa»? Non pensa che stabilire per legge una percentuale di politici al femminile sia fuorviante? «Lo pensavo anni fa. Ma data la situazione a cui siamo giunti, mi sembra il male minore». Quale dovrebbe essere il criterio? «Quello della validità della persona a prescindere dal sesso. Le donne hanno un ruolo spesso importante nella società perché il mercato le promuove. In politica, al contrario, decidono i partiti. E gli uomini che li dirigono». Che fare? «Noi, come Fondazione, stiamo preparando un disegno di legge per istituire un'Authority autonoma, con potere decisionale, sulle pari opportunità. Se è vero che il femminismo ha esaurito il suo ruolo, il maschilismo deve finire. Nella politica. E nella società».

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