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Parla il segretario di Togliatti, Massimo Caprara, amico-nemico del Presidente

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Le comuni passioni, la letteratura, il teatro, l'arte, la cultura. Gli anni del fascismo e dei Guf. Dopo, ognuno prenderà la sua strada. Antonio Ghirelli sceglie il giornalismo, Peppino Patroni Griffi il teatro, Raffaele La Capria la letteratura, Franco Rosi il cinema, Giorgio Napolitano la politica. In realtà c'era anche un altro, di cui loro fanno finta di non ricordarsi. È Massimo Caprara. Napolitano lo conosce nel 1944, entrano assieme nel Partico comunista. Quando Palmiro Togliatti arriva a Napoli, scopre questi giovani e decide che uno dei due sarà il suo segretario. Ne nasce un ballottaggio tra Caprara e Napolitano. Il Migliore sceglierà il primo, il secondo diventerà migliorista. Un meridionale brish. Oggi Caprara assiste al giuramento del vecchio amico-nemico dalla sua casa milanese. «Giorgio Napolitano - spiega - è, dal punto di vista dell'impronta e della grinta (ne ha una anche lui!), un perfetto figlio della buona borghesia napoletana, avveduta e accorta, di buona tradizione e di buone maniere, di media cultura vicina al legittimismo meriodionalista che va da Romualdo Trifone a Carano Donvito, al senatore Giustino Fortunato, uomini integerrimi di fonte liberal-borghese e di concezioni unitarie, con forti legami giuridico territoriali da Rionero, Melfi, Potenza, specie negli anni dal 1896 al 1911». Ricorda Caprara: «Suo padre era uno stimato avvocato di uno studio legale simile a quello di Giovanni Porzio, principe del foro di Napoli e Castelcapuano. In Giorgio si fusero la cultura da giovane giurisperito di origine paterna con quella polico-parlamentare di uno degli Amendola di Salerno, membro della direzione nazionale del Pci». Capri e contadini. Insomma, per il segretario di Togliatti, in Napolitano «c'era in questo miscuglio partenopeo, calabro, potentino, una sorta di intelligenza del Sud e contadina del Nord, che non sbaglia mai una battuta e diviene ancora più ferrato ed esperto di varie culture, contadina e agricola-bracciantile. Il giovane Giorgio Napolitano, che per giunta coltivò importanti e amichevoli frequentazioni a Capri, era l'esatto interprete di questo folclore che aveva forti accenti britannici nell'eleganza della lingua e nello stile sempre impeccabile, Napolitano era dunque un giovanissimo jeune racé di varie consuetudini e morbidezze, un cosmopolita che alla fine, attraverso la poesia parnassiana incontrò il massimo dell'impegno: il comunismo, mai così astratto come in lui». I giovani di Latitudine. La memoria corre a quel gruppo di giovani napoletani: «A Napoli avevano costituito liberamente alla fine della guerra un gruppo molto coeso e specializzato, di profonde aspirazioni letterarie franco-inglesi, pur essendo appena usciti dal liceo - sono ancora le parole di Massimo Caprara -. Napolitano ed io (con funzioni di direttore) eravamo allora unici elitari redattori, assieme ad Antonio Ghirelli, Raffaele La Capria, Peppino Patroni Griffi, Maurizio Barendson, Luigi Compagnone, di una rivistina letteraria cui dammo il nome di Latitudine, di tendenza simbolista e scapigliata e di chiara velleità marxista. Altro nome che ebbe grande influenza su di noi fu Curzio Malaparte, che allora stava costruendo la sua casa alla Punta Massullo di Capri, dove era lo scoglio del Monacone. Ci volle conoscere e fu allora che ci recammo da lui e quello fu il primo e vero incontro tra lo scrittore toscano e l'ambiente comunista». Il teatro, la passione per il poeta irlandese William Butler Yeats o «Il lutto si addice ad Elettra» di Eugene O'Neill. «Intanto - sottolinea Caprara -, incontrammo il coltissimo e aperto Eugenio Reale, che aveva contatto con gli esuli in Francia. Malaparte volle organizzare con lui un utile incontro. Seguirono riunioni politico-culturali di grande ampiezza da Gide a Eluard a Garcia Lorca». Scelgono la politica (Pci o Psi). Nè di qua nè di là. Napolitano resta l'ultimo in bilico, nel limbo: «La maggior parte di noi iniziò già durante la guerra la milizia antifascista - rimebra Capra

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