È D'Alema il premier del governo Prodi
Massimo è ovviamente Massimo D'Alema. È lui che, dopo un mese passato a rincorrere poltrone, riesce in extremis a strappare il posto politicamente più importante: quello di capo della delegazione Ds nel futuro governo guidato da Romano Prodi. A Piero Fassino resta l'onore delle armi e la possibilità di giocare, come segretario della prima forza della coalizione di centrosinistra, un ruolo di primo piano nella costruzione del partito democratico. Per la verità la notizia che il segretario della Quercia potesse scegliere di non entrare nell'esecutivo era nell'aria da qualche giorno. Era stato proprio lui, infatti, a dire che la decisione sarebbe stata presa durante la segreteria del partito convocata per ieri mattina. Ma alle 9.30, proprio quando doveva iniziare la riunione, Fassino è stato ricevuto a palazzo Giustiniani dal neo presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e così, tutto è slittato al pomeriggio. Quasi quattro ore di «camera di consiglio» e, poco le 18, ecco comparire davanti ai giornalisti Piero Fassino, Massimo D'Alema e i membri della segreteria Ds Marina Sereni, Vannino Chiti e Nicola Latorre. Fassino prende la parola e subito ribadisce la soddisfazione per l'elezione di Napolitano al Colle. Il tema, però, non è di quelli che appassionano i presenti che, ovviamente, sono venuti per tutt'altro motivo. E il segretario Ds non li delude. «Per le due sfide che ci attendono, il governo e la costruzione del partito democratico - dice Fassino -, abbiamo deciso di dislocare le nostre forze e le nostre energie: al governo in primo luogo con una squadra autorevole rappresentativa e forte, guidata da Massimo D'Alema e ai Ds, assicurando una guida politica salda e una certezza di direzione. Per questo io rimarrò al partito». Poche parole che sembrano chiudere qualsiasi ulteriore discussione. Ma, come spesso accade in questi casi, è impossibile sfuggire la gioco del «chi vince e chi perde». E il vincitore, agli occhi di tutti, è uno solo: Massimo D'Alema. Il presidente Ds lo aveva già detto senza mezzi termini: dopo la duplice rinuncia alla presidenza di Montecitorio e al Colle, non farò il secondo a nessuno. E così sarà. Certo, sia D'Alema che Fassino ci tengono a sottolineare che ogni decisione è stata presa «all'unanimità», che le ricostruzioni giornalistiche che parlavano di scontri e battaglie intestine sono assolutamente falsi, ma è fin troppo chiaro che ora è «Baffino» l'uomo forte del Botteghino. Basta un piccolo episodio per capirlo. Succede quando i giornalisti rivolgono al segretario Ds una domanda sulla questione dei vicepremier. Fassino sembra intenzionato a rispondere ma poi si ferma, si scosta leggermente dal tavolo mentre D'Alema, che sta alla sua destra, si sposta verso i microfoni e comincia a parlare. Dopotutto adesso è lui il capo della delegazione di via Nazionale al Governo. Ma il presidente Ds non si limita ad esprimere le legittime perplessità della Quercia per la decisione di nominare due vicepremier («anche se - spiega - la parola finale spetta al presidente del Consiglio»). Non gli basta lasciar intendere che, se vicepremier ci sarà, sarà unico e sarà lui (non certo Rutelli). Nel ringraziare Fassino per una scelta «nè scontata, nè obbligata» D'Alema, infatti, chiarisce anche quale sarà il lavoro del segretario d'ora in poi. «È una scelta importante - spiega - perché nasce dal fatto che noi viviamo un processo politico non compiuto. Un processo politico che non può essere condotto soltanto dall'alto, cioè dal governo del Paese. È un processo che ha bisogno di un'azione politica, organizzativa, culturale che si svolga nel Paese». Insomma, i ruoli sono fissati. Fassino pensi al partito democratico, al governo ci penserà il «leader Maximo». E, da quanto si capisce, per il segretario Ds non sarà un'impresa semplice. Le minoranze interne al partito, infatti, hanno già da tempo fatto sapere che non intendono dare il via libera al processo d