«Silvio, solo di Giorgio ti puoi fidare»
Anzi, cinque. Forse sei. E hanno fatto tutti tanta strada. Uno probabilmente più di tutti: rischia di diventare presidente della Repubblica. Abitavano tutti nello stesso quartiere di Napoli. Erano tutti giovani balilla, erano compagni di scuola, poi assieme al Guf, il Gruppo universitario fascista. E poi tutti antifascisti, quasi tutti socialisti e qualcuno comunista. Si sono divisi restando uniti. Chi nella letteratura, chi sulle scene, chi nel giornalismo. Chi nella politica. Uno solo se ne è andato, Giuseppe Patroni Griffi, il grande autore e regista di teatro che li ha lasciati pochi mesi fa (alla serata in suo onore all'eliseo si sono ritrovati tutti, c'erano anche Letta e Bertinotti). Gli altri si sentono tutti i giorni, parlano tra loro. Si consigliano. C'è lo scrittore Raffaele La Capria e un altro regista, stavolta cinematografico, Franco Rosi. C'è uno che aspira al Colle, come Giorgio Napolitano, e uno che invece già c'è stato, come Antonio Ghirelli, quale portavoce di Sandro Pertini. «È vero - confessa Ghirelli - siamo stati tutti sempre uniti. Ma nella vita, sul lavoro non ci siamo mai aiutati, ognuno è andato per conto suo. Abbiamo fatto strada perché avevamo una grande tensione morale che non si è mai spenta. Avevamo una grande fame di cultura e non ci siamo mai sfamati». Ricorda l'ex direttore dell'Avanti: «Diventammo antifascisti dopo il 9 maggio del '36 (giorno del "discorso dell'impero" pronunciato da Mussolini a guerra d'Etiopia finita, ndr). E finimmo per scrivere su una rivista, proprio intitolata al IX maggio, l'unica possibilità per esprimersi. E ci andò pure bene, Patroni Griffi ed io vincemmo i Littoriali per il teatro». E Napolitano? «Voleva fare l'attore». E com'era come attore? «La verità? 'Na schifezza. Freddo, rigido, un disastro. Per questo mi fido di lui come presidente della Repubblica, incapace di dire anche la minima bugia». Allora, la passione di colui che sarebbe divenuto presidente della Camera era Pirandello «perché era il nostro sogno di un'altra realtà da vivere». Arrivano le leggi razziali. Ghirelli s'iscrive al partito comunista ancora clandestino, è il 1942. Poi tocca agli altri scendere in politica. Napolitano è l'ultimo, nel 1945. E nella sua recente autobiografia lo stesso esponente dei Ds sembra quasi prendere le distanze dal Pci: «In noi, giovani dirigenti del partito nuovo fondato da Togliatti, quelle battaglie confermavano la convinzione autentica, basata sui fatti, di rappresentare la forza più conseguente nella difesa della Costituzione, dei principi e dei diritti in essa sanciti». Napolitano diventa segretario della Federazione comunista di Napoli e Caserta. Lavora a stretto contatto con Togliatti, al cui fianco ritrova un amico di vecchia data, Massimo Caprara. Poi arriva il '56. «I fatti d'Ungheria, il discorso di Kruscev, lasciai il Pci - racconta Ghirelli -. Sono poi sempre stato nel partito socialista. Ma con Giorgio è andato avanti un dialogo che è proseguito negli anni». Ghirelli, che un mese fa ha cominciato a sostenere la candidatura dell'amico, ha scritto sul Corriere del Mezzogiorno: «La sua posizione si allaccia naturalmente a quella linea De Sanctis-Labriola-Croce su cui la sinistra meridionale amò modellare il proprio impegno politico e culturale negli anni più fecondi del secondo dopoguerra». E infatti è l'uomo del dialogo. Fedele alla linea di Amendola, dialogare, dialogare sempre. Soprattutto con chi è distante dalle tue idee. Napolitano parlerà con i democristiani, con Andreotti, con Spadolini. E con i socialisti. Resta ancorato al Pci («Oltre alla moglie, è stato fedele solo al partito», racconta l'amico) ma parla con gli altri. Già negli anni Sessanta lavora alla collaborazione con i socialisti, negli anni Settanta è contro il terrorismo ed è il primo a volare negli Usa (ed è il primo comunista ad essere ricevuto dagli americani). «Negli anni Ottanta - ricorda Ghirelli - tutto divenne difficile. Il dialogo con il Psi divenne impossibile, il clima acido e di fuoco. Il 1984 è l'anno più diffi