Il subcomandante Fausto «incorona»
«Trepida» ed è emozionato, come ammette lui stesso, lasciandosi alle spalle il decennio abbondante in cui ha guidato il partito che vuole «rifondare» il comunismo, per occupare la poltrona più alta di Montecitorio. E «incorona» il nuovo resposabile del Prc, che chiama «fratello» e al quale regala un solo suggerimento: «Se ti posso dare un consiglio - dice Bertinotti a Franco Giordano - ascolta i consigli, ma scegli tu. I consigli non si possono rifiutare, ma poi c'è l'assunzione di responsabilità anche con quel tanto di solitudine che essa comporta». Lui, l'amico sincero, il «vicino di casale» in Umbria, e fino a ieri capogruppo dei deputati di Rifondazione, lo ringrazia e lo definisce «irripetibile» e «inimitabile». Aggiunge senza retorica che «senza di lui» il partito non avrebbe «superato indenne molte situazioni» e ora, che lui non è più al comando, «navighiamo in un mare aperto e siamo tutti al timone per cercare la rotta». Un appello alla collaborazione, coesione e unità su obiettivi comuni delle correnti interne che il nuovo segretario rende ancora più esplicito: «Senza il coinvolgimento e una collegialità non possiamo farcela», sottolinea. Il comitato politico nazionale che deve sancire il cambio di guardia comincia poco dopo le 10 del mattino. Bertinotti arriva nella sede di via Squarcialupo per un breve intervento prima del voto. «Siamo sempre insieme, cambiano le modalità del rapporto - spiega - Lascio un gruppo dirigente che va verso il rinnovamento, un gruppo giovane sul quale pochissime altre formazioni possono contare. Lascio con molta soddisfazione». Avverte che c'è la necessità di «un forte rinnovamento organizzativo» che dovrà seguire a quello politico già attuato. «Su questo abbiamo mostrato una totale inadeguatezza, ma il nuovo segretario potrà farlo», assicura. Poi l'apprezzamento e la solidarietà al futuro segretario e il «non consiglio» in puro stile bertinottiano e la standing ovation dei presenti. Dopo aver rimepito l'urna e prima d'andare via il «capo» uscente dell'organizzazione radicale saluta i suoi più stretti collaboratori e li ringrazia, si sofferma a scherzare con Paolo Pietrangeli, l'autore di «Contessa», saluta con una mano i passanti che lo salutano e sorride quando una signora affacciata alla finestra gli dice: «Buon lavoro presidente». Le votazioni si concludono prima dell'una. La geografia interna è chiara: l'unico «concorrente» di Giordano è Marco Ferrando di «Progetto comunista». Vuole sottolineare così «la totale contrarietà alla svolta di governo intrapresa da Rifondazione». Raccoglierà soltanto sette voti. «Sinistra critica» sceglie la strada polemica ma meno «dura» dell'astensione. Le schede bianche saranno 47 su 202, nove quelle nulle. «Essere comunisti» si spacca: una parte si astiene, un'altra vota per il segretario designato. Risultato: Franco Giordano, nato 48 anni fa a Bari, «fa suoi» i restanti 139 voti. Nel suo discorso Giordano annuncia che «il punto centrale del partito sarà l'innovazione». E respinge indirettamente le accuse del trotskysta Ferrando: «Noi saremo al governo ma non ci faremo neutralizzare, anzi investiremo sul partito e nella Rifondazione Comunista», afferma. Dedica la sua vittoria ai «ragazzi e alle ragazze del movimento che in questi anni hanno cambiato il Paese» e fa un accenno al G8 del 2001: «È da Genova in poi - dice - che è iniziato il percorso che ci ha portato alla scelta della non violenza, una condizione essenziale, su cui ci impegneremo per dare forme a nuove soggettività. Ci impegneremo a radicare la soggettività nei territori, ma questo potrà avvenire solo se ci sarà solidarietà e collaborazione tra noi». Infine cita l'Antigone di Sofocle: «Ricordo un passaggio in cui Antigone diceva a sua sorella hai un cuore che arde per cose che agghiacciano. Il mondo è pieno di cose che agghiacciano, pieno di violenza che uccide la politica, che svuota la democrazia, facendo vincere i fanatismi. Questo ghiaccio rischia di ibernare anche noi stessi. Noi investiamo