D'Alema si prepara a fare il vicepremier
Dopo aver fatto il «beau geste» di essersi ritirato dalla corsa per la Presidenza della Camera, ieri sera, dopo un lungo vertice con Piero Fassino, Francesco Rutelli e Romano Prodi ha deciso di fare ancora una volta un passo indietro. Troppe forte il «no» alla sua candidatura da parte di tutto il centrodestra, hanno ragionato i vertici del centrosinistra, troppo alto il rischio di andare a uno scontro dai toni troppo accesi per eleggere una carica che invece dovrebbe essere garante di tutti gli italiani. Per giunta dopo una campagna elettorale giocata su toni feroci. Così, dopo due ore di discussione, la scelta è caduta su un altro esponente della Quercia, Giorgio Napolitano, con il via libera anche del presidente dei Ds. Una scelta che serve anche a garantire al partito che ha ottenuto più voti nella coalizione di centrosinistra almeno una posizione di prestigio. Napolitano è un senatore a vita, è iscritto al gruppo dei Ds, non può essere considerato a tutti gli effetti «super partes» ma sicuramente attira su di sè meno veti incrociati di D'Alema. E il «leader Maximo», con la sua scelta, alla fine ha dato ragione a tutti quelli che, nel suo entourage, continuavano a dire che, in fondo, fare il Presidente della Repubblica a 57 anni non era per lui una questione di vita e di morte. Anche perché quella carica lo avrebbe portato dritto a una precoce «pensione» politica. La rinuncia al Quirinale potrebbe essere per D'Alema invece l'occasione per diventare il vero leader di questo governo. Perché è fuori di dubbio che ora, nell'assegnazione dei posti nell'esecutivo, la poltrona di ministro degli Esteri andrà a lui, probabilmente associata anche alla carica di vicepremier. Unico però, senza doppioni come invece aveva fatto Berlusconi con Fini e Follini prima e con Tremonti poi. Nessuno ora potrà più negargli questo diritto dopo essersi «sacrificato» per ben due volte «per il bene della coalizione». Di certo però D'Alema nel governo sarà una presenza «ingombrante» per Romano Prodi che sarà costretto ogni giorno a fare i conti con l'esponente politico più preparato e pericoloso della sua coalizione. È chiaro, ad esempio, che la politica estera — quella che è il vero nervo scoperto nel centrosinistra dopo gli ultimi tragici attacchi ai nostri soldati in Iraq e in Afghanistan — avrà l'impronta di Massimo D'Alema. Ed è fuor di dubbio che sarà lui a trattare con gli alleati le questioni più delicate che riguarderanno gli interventi militari fuori dai nostri confini. Avendo anche alle spalle l'esperienza di quando, da premier, ha dovuto gestire l'intervento militare in Kosovo. In più c'è da aggiungere che, con «Baffino» al Governo, Piero Fassino dovrà restare a fare il segretario del partito senza entrare nell'esecutivo. Del resto il presidente dei Ds glielo aveva detto chiaro e tondo in un faccia a faccia teso un paio di settimane fa: «Io non faccio il secondo a nessuno, se entro io al governo tu, Piero, devi restare fuori». Resta un po' deluso anche Francesco Rutelli, che con D'Alema al Quirinale sapeva di essere il numero uno nell'esecutivo. Così dovrà accontentarsi di restare almeno un gradino sotto il «leader Maximo». Per D'Alema ieri è stata una giornata trascorsa tra telefonate, consultazioni ma anche qualche momento di svago allo stadio Olimpico per vedere la partita della sua squadra, la Roma, contro il Treviso. Seduto in tribuna Monte Mario, giacca blu su maglietta rossa, ha chiacchierato con alcuni suoi colleghi, con un «avversario» politico, il consigliere comunale di Forza Italia Michele Baldi, con alcuni amici come Mino Fuccillo, giornalista dell'Espresso. Poi, alla fine della gara, ha lasciato lo stadio ed è andato a piazza Santi Apostoli dove, poco dopo le cinque e mezza, è iniziato il vertice con Prodi, Rutelli e Fassino. Il vertice dal quale, due ore dopo, è uscito pronto per il Governo. Pa. Zap.