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Dieci giorni fa Washington ha comunicato che non darà mai i nomi degli assassini dello 007

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Così, il 24 aprile scorso, il Dipartimento di giustizia di Washington ha comunicato «in modo definitivo» al ministero della Giustizia italiano che non intende sostenere l'inchiesta aperta dalla magistratura romana. Che, comunque, va avanti. La risposta degli Usa è, in primo luogo, alla rogatoria con cui si chiedeva di conoscere i nomi del commando di militari americani che lungo la Irish Route a Baghdad uccisero Calipari e ferirono la Sgrena e l'agente del Sismi Carpani. Una richiesta alla quale le autorità statunitensi hanno risposto di no. In altri termini, il nome di Mario Lozano, il militare che fece fuoco sulla Toyota Corolla con tre raffiche in successione, così come il resto della pattuglia, non esistono «in modo ufficiale». Ma i nomi di tutto il commando, in realtà, già si conoscono da tempo. Emersero lo stesso giorno in cui venne diffuso su Internet il rapporto della Commissione d'inchiesta Usa, grazie a una banale decriptazione degli omissis fatta da un giovane di Bologna. Materiale forse non utilizzabile a fini processuali, ma i carabinieri del Ros e i magistrati romani, a quei nomi arrivarono anche attraverso altre strade. Il problema, dunque, non è costituito dai nomi, ma soprattutto dalla notifica del deposito degli atti all'indagato, un atto che spianerebbe la strada all'incriminazione del soldato Lozano. Questa notifica è stata oggetto di una ulteriore rogatoria, che non ha dunque come oggetto una richiesta di informazioni: non è chiaro quale sia stata la risposta degli Usa su questo aspetto specifico, ma la comunicazione del 24 aprile scorso sembra debba essere letta come una chiusura totale. Sulla posizione di Lozano pesa, soprattutto, l'esito di una consulenza tecnica secondo la quale la Toyota Corolla fu colpita da tre raffiche sparate da un'unica mitraglietta automatica M240 calibro 7.62, in dotazione all'esercito Usa. Calipari, per i consulenti, morì dopo essere stato raggiunto dalla seconda sequenza di proiettili. Secondo gli stessi esperti balistici, che a lungo hanno esaminato la Toyota Corolla, si deve ritenere che i primi colpi siano stati esplosi da una distanza (approssimativa) compresa tra 100 e 130 metri; gli ultimi da una distanza (approssimativa) compresa tra 45 e 65 metri. Per gli stessi consulenti nominati dalla procura, sicuramente «la prima raffica colpì l'autovettura, in movimento, mentre procedeva a una velocità valutabile in 60-65 chilometri orari; la seconda a una velocità valutabile in 44-54 chilometri orari; gli ultimi colpi la raggiunsero quando era ormai praticamente ferma». E sulla scorta di tutto ciò, nonostante il rifiuto americano, i pm Franco Ionta, Pietro Saviotti ed Erminio Amelio, potrebbero decidere, entro la fine di questo mese, di depositare, previa emissione del decreto di irreperibilità dell'indagato, la richiesta di rinvio a giudizio di Lozano per omicidio volontario e il tentato omicidio dell'inviata del Manifesto Giuliana Sgrena e di Andrea Carpani, alla guida della Toyota presa di mira sulla Irish Route. Sulla vicenda è intervenuto lo stesso Guardasigilli Castelli, che dopo aver espresso «amarezza» per il no di Washington, ha parlato di una vicenda «lunga e complessa» finita in maniera non positiva per l'Italia forse anche a causa delle «polemiche con la procura di Milano che possono aver influenzato questa decisione» degli Isa. Il riferimento implicito è al braccio di ferro degli ultimi mesi tra il ministro e i magistrati di Milano che avevano chiesto l'estradizione dei 22 agenti Cia accusati del rapimento dell'ex imam Abu Omar. Castelli ha rifiutato di inoltrare la richiesta della procura di Milano e lo ha comunicato solo di recente, facendo intendere che il suo non decidere in tempi rapidi stava a significare che proprio la questione dell'estradizione d

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