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Riecco Scalfaro, e la Cdl vede il ribaltone

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Ne ha combinate di tutti i colori: Francesco per Franco, la fuga dall'aula dopo l'«errore»

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Quando l'allora presidente della Repubblica di fatto disarcionò Silvio Berlusconi e affidò l'incarico di formare il governo a Lamberto Dini. Insomma, autorizzò - se non addirittura sponsorizzò - il ribaltone. Perché nella notte tra venerdì e sabato la conduzione dei lavori al Senato da parte dell'ex presidente della Repubblica è stata ridicola. Se non tragica. O forse tutt'e due le cose assieme. Il senatore a vita infatti non è stato un semplice notaio. A parole ha spiegato di essere lì solo come notaio: «Non ho voce in capitolo da nessuna parte», ha detto. Invece è intervenuto. Eccome, se è intervenuto. Prendendo sempre decisioni che pendevano da una parte. Comincia quando viene annullata la seconda votazione e si procede al bis. Scalfaro fissa il nuovo scrutinio alle 20,15. Poi però i Ds fanno sapere che mancano diversi senatori. Uno, Giovanni Bellini, è addiruttura «disperso». Prima che arrivasse il verdetto del voto era già salito su un treno con direzione Firenze. Occhio all'orologio, il centrosinistra s'accorge che Bellini non ce l'avrebbe fatta a prendere il treno in direzione opposta e tornare in tempo per la «chiama». Arriva in soccorso Scalfaro, che sposta la votazione di un paio d'ore. Ma anche An scopre che un suo esponente, Filippo Berselli, è sullo stesso treno di Bellini. Parte a razzo un'auto che va a recuperare Berselli nel capoluogo toscano. Vengono sollecitate anche le foze dell'ordine, visto anche che il senatore è sottosegretario alla Difesa. Ma alle nove e mezza - incredibile a dirsi - a Palazzo Madama arriva prima l'esponente diessino. L'incredibile arriva però allo spoglio. Verso la fine, Andreotti e Marini sono oramai testa a testa Quando Oscar Luigi Scalfaro legge una scheda con il voto a «Francesco Marini» come «Franco Marini», di fatto rendendo valido il voto. I segretari d'aula se ne rendono conto e contestano. Il presidente pro-tempore li porta fuori dall'aula, anche se il regolamento lo vieta. Poi l'ex Capo dello Stato si rende conto. La scritta è chiara. Si scuserà più tardi. Ma resta il sospetto. Rocco Buttiglione esce di corsa dall'aula, è furibondo: «Se ci fosse malafede sarebbe falso in atto pubblico». In aula è bagarre. Parlano tutti, tutti urlano. Lo stesso Scalfaro sbotta: «Non è possibile...». Torna l'incubo del ribaltone, di un verdetto delle urne sovvertito dal notaio. Il leghista Roberto Castelli accusa: «Rita Levi Montalcini - dice il ministro della Giustizia - ha giudicato di non essere in grado di dirigere questa assemblea. Lei , presidente Scalfaro, dovrebbe valutare se è in grado di tenere questa assemblea». Pure Calderoli non demorde: «Pensavo di aver visto tutto nei controlli delle schede elettorali, e invece noto che si fanno dei brogli anche in una sede parlamentare... Non ho mai visto una gestione così partigiana dell'Aula. Non si era mai visto - continua - che si ritardasse una seduta come quella di oggi per dar tempo di rientrare ai senatori dell'Unione che erano andati via. Non si era poi mai visto che l'Aula, diventata seggio elettorale, venisse abbandonata dal presidente e dai segretari che hanno lasciato lì l'urna aperta con tutte le schede». Ma non è finita. Lo contesta anche Francesco D'Onofrio che gli ricorda come, a seggi aperti, non potesse uscire dall'aula. Scalfaro sta seduto, ma barcolla. Non sa che dire. Sembra colto da un malore. Lui stesso confessa: «Sono ore che non mi sento bene». E per questo la Lega gli chiede di fare come la sua collega senatrice a vita, ovvero di rinunciare a presiedere. Ma non è finita. La Cdl chiede di votare oggi. L'Unione insiste per ieri. Come ha deciso Scalfaro? Per ieri, ovviamente. F. D. O.

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