Fausto Bertinotti dalle fabbriche alla Camera
Fino a quello di trasformare un uomo di parte (la parte dei lavoratori), in esponente super partes delle istituzioni. Come sindacalista Bertinotti si forma negli anni '60 che cominciano con gli scontri di piazza contro il governo Tambroni e culminano nell'autunno caldo del 1969. Politicamente, viene dalla sinistra socialista che rifiuta la scelta di Pietro Nenni per il centro-sinistra con la Dc, e fonda il Psiup; la stessa scelta che allora fa anche il giovane Giuliano Amato. Ma quello che per Amato sembra un peccato di gioventù, per Bertinotti è espressione di una scelta che, in diverse forme, segna tutta la carriera. Nel 1980, vive da segretario della Cgil piemontese la sconfitta della Fiat, occupata per 35 giorni fino alla «marcia dei 40 mila». Sconfitta dalla quale però, a differenza di altri, non trae la conseguenza di cambiare registro. E così, quando la Cgil guidata da Bruno Trentin sceglie la strada gli accordi di concertazione, Bertinotti è da segretario confederale, il capo dell'opposizione interna. Negli anni '90 arriva il passaggio alla politica. Dopo la svolta di Occhetto, Bertinotti è fra quanti si oppongono alla rinuncia al comunismo; ma non aderisce alla scissione capeggiata da Armando Cossutta, che porta alla nascita di Rifondazione comunista. In questo partito entra solo nel 1993, per diventarne segretario già nel 1994, col sostegno determinante di Cossutta. La scelta di Cossutta viene inizialmente premiata. Dopo la sconfitta dei Progressisti nel 1994, Rifondazione è elemento chiave per la vittoria del centro sinistra nel 1996 (sia pure attraverso la desistenza) e nella quota proporzionale supera l'8 per cento. Di questo successo, le performance del comunicatore Bertinotti sono componente indiscutibile. L'attitudine al confronto anche con le posizioni opposte ne fanno ospite ideale per talk show e dibattiti. E l'eleganza «di sinistra», fatta di completi di velluto corredati da immancabili portaocchiali, comincia a fare tendenza (anche se sarà un maglioncino di cachemire a diventare proverbiale, soprattutto per chi vorrà fare commenti al veleno). Ma il risultato del 1996 è anche frutto della convivenza nel partito di due tendenze che presto si divaricano: quella del presidente Cossutta, favorevole a rafforzare l'alleanza col governo Prodi, e quella del segretario Bertinotti, che invece matura posizioni sempre più critiche. La rottura diventa inevitabile, e nel 1998 il Prc si divide, col Pdci cossuttiano che approda all'area di governo e il Prc che si attesta all'opposizione, scegliendo di porsi come interlocutore dei movimenti di opposizione sociale. Fino ad andare alle elezioni del 2001 da sola, nel momento in cui Berlusconi vince ricostruendo l'unità del centro destra. Comincia così il periodo in cui, dalle mobilitazioni per la pace a quella per l'articolo 18 (prima con l'amico-nemico Sergio Cofferati, poi con uno sfortunato referendum per la sua estensione alle piccole imprese) Bertinotti guida il Prc ad essere parte e riferimento dei movimenti; ma contemporaneamente persegue una strategia di ricomposizione dell'alleanza a sinistra, indispensabile a sconfiggere la Cdl. Questa fase vede Bertinotti anche contestato dal fronte delle minoranze interne, che non ne condividono ora la svolta governista, ora la scelta non violenta, ora l'appannamento dell'identità comunista del partito a favore del movimentismo. Il risultato è che Bertinotti giunge alla fine della sua lunga conduzione del Prc portando nell'Unione un partito che non rinuncia a presentarsi come interlocutore delle minoranze e dei movimenti (come testimoniano le candidature di Francesco Caruso e Vladimir Luxuria), ma che ha ormai scelto di saltare il fosso della partecipazione al governo del paese. Una scelta che trova in Romano Prodi il principale sostenitore, e che apre la strada all'ex sindacalista del