«Prodi non capisce la politica, Mancino era meglio»
Senza una smorfia, senza un'emozione. Senza un'incertezza. Una sfinge imperscrutabile anche per chi gli resta a fianco, lo assiste senza lasciarlo un attimo come Emidio Novi, senatore di Forza Italia. Si lascia andare, il sette volte presidente del Consiglio, ai racconti, ai ricordi nelle estenuanti attese delle votazioni di Palazzo Madama. Per ogni votazione, infatti, vanno via oltre due ore e mezza. Ma Andreotti resta lì, al primo banco dell'emiciclo; Marini cinque file di banchi più su, con a fianco un altro vecchio sindacalista Giorgio Benvenuto, oggi esponente dei Ds. Uno immobile, l'altro - l'ex segretario della Cisl - che si tocca ogni tanto il suo orecchio meno preferito, il sinistro. Il «divo Giulio» non si smuove. Solo tra un voto e l'altro scappa a casa per un latte e caffè e un solo biscotto. Poi la poltrona, l'adorata poltrona, per una mezz'oretta. E ancora a Palazzo Madama per l'ultima sfida. Giunto in aula, Franco Marini gli va a rendere omaggio. Ma tra i due le battute sono abbastanza acide. Il numero due della Margherita se l'è presa per una definizione di lui che aveva fatto proprio il competitor ottantasettenne: «Franco è un novizio». Marini non ci sta: «Non è vero, non lo sono Giulio. E lo vedrai». E Andreotti lo fulmina con un'altra battuta: «Lo sei in senato. Eri mai entrato in quest'aula prima di oggi?». I due quindi si ignorano, fingono di scambiarsi cortesie. Il senatore a vita, comunque, non se ne cura più di tanto. Fa un commento politico e si lascia andare a un aneddoto. «Quando era difficile la vita un tempo - narra al vicino di banco -. Mi ricordo di quando i miei genitori comprarono, subito dopo la guerra, una casa in piazza Bologna. Mio padre la pagò quattromila lire. Ti rendi conto, due euro?». Si parla ancora di casa e Andreotti confessa: «S'è raccontato tanto di quella in cui vivo oggi. Tante fesserie. La verità è che è proprio sotto la sede del Partito Repubblicano. E nessuno la voleva, perché gli inquilini si lamentavano tanto. Stavano sempre a litigare... C'era un andirivieni, sempre chiasso. E così decisi di prenderla io. Da una finestra si vedeva l'ufficio di Papa Wojtila, con la luce accesa. Tutti i giorni si spegneva alle 23, per me era una specie di appuntamento». Ma ora si parla di un altro Palazzo, di un'altra casa, di un altra poltrona. Quella più alta al Senato. E Andreotti confessa: «Prodi non se ne intende tanto di politica. Io ho offerto la mia candidatura a presidente, voleva essere un atto per svelenire il clima. Era una candidatura bipartisan, un modo per cercare di tenere unito il Senato e renderlo governabile per il bene del Paese. Ma ha detto di no. Niente bipartisan, preferisce il muro contro muro». Rivela poi: «Sono venuti in tanti dalla Margherita a dirmi che erano molto contenti della mia proposta ma che non potevano votarmi perché c'era stato un ordine di partito e anche perché Berlusconi ha detto subito di sì ed è sembrato che fossi il suo uomo. Ma per carità...». «Al contrario - aggiunge -. Penso che in tre o forse anche quattro del centrosinistra hanno votato per me. Nonostante tutto». Andreotti pensa principalmente proprio alla Margherita, dove pure ha trovato casa un pezzo di Dc. «Se proprio volevano un candidato della loro parte - spiega l'ex presidente del Consiglio - sicuramente era meglio la candidatura di Nicola Mancino. È più esperto, ha già fatto il presidente del Senato. Ha un'unica "colpa": non fa parte del sinedrio della Margherita e quindi l'hanno fatto fuori». Forse se il candidato fosse stato davvero il leader irpino democristiano, anche dal centrodestra sarebbero potuto giungere voti. E comunque, anche se Andreotti non lo dice, Mancino avrebbe certamente garantito di più di Marini. Che, sebbene apprezzato anche dalla sinistra estrema, non può vantare grandi rapporti nel centrodestra. Nella Cdl tuttavia non lo disprezzano come presidente del Senato. I più vecchi di esperienza senatoriale pensano che tutto sommato sarà per Marini più difficile gestire un'aula spaccata a metà vis