«E ora lasciatelo lavorare in autonomia»
Latorre: «Non ci saranno franchi tiratori, è lui che ha deciso di fare un passo indietro»
Anzi, sarebbe stato proprio il senatore diessino Nicola Latorre (ex assistente di D'Alema) a chiamare Fausto Bertinotti e a pronunciare poche parole («Massimo ti vuole parlare»), passando poi il telefonino al presidente Ds per l'ultima (inutile) mediazione. Oggi, a distanza di una settimana da quel «gesto eroico», Latorre non accetta la versione di chi parla di un D'Alema a caccia di vendetta. Prodi ha ribadito l'importanza che D'Alema entri nell'esecutivo, ma subito il presidente Ds ha bollato la questione come un «problema secondario» scatenando la fantasia dei giornalisti. «Francamente non mi sembra che D'Alema abbia detto nulla di sconvolgente. Trovo giusto che, nella composizione del governo, si lasci lavorare Prodi. E trovo positivo e importante l'invito rivolto dal leader dell'Unione a D'Alema. Detto questo mi sembra giusto che Massimo possa avere il tempo di valutare in maniera autonoma, e insieme al partito, cosa fare». D'Alema ha anche ricordato che, prima del governo, c'è l'elezione dei presidenti di Camera e Senato. Un eccesso di realismo o un po' di paura? «È sicuramente importante conoscere la composizione del futuro governo. Ma questo non ci deve far dimenticare che già oggi c'è un primo passaggio importante. Mi riferisco ovviamente all'elezione del presidente del Senato. Siamo fiduciosi, ma non sottovalutiamo l'impegno. Oggi il centrosinistra sarà chiamato a dimostrare, per la prima volta, la sua tenuta». Qualcuno dice che i dalemiani, nel segreto dell'urna, potrebbero vendicare la mancata candidatura alla presidenza della Camera? «È assolutamente falso. Ho già avuto modo di dirlo e lo ripeto. Massimo non ha certo preso come un affronto personale la mancata candidatura come presidente di Montecitorio. Anzi, la vicenda si è risolta proprio grazie ad una sua straordinaria iniziativa politica che ha garantito, da un lato la pluralità e dall'altro l'esigenza di unità della coalizione. Noi vogliamo unire il Paese e, il primo passo, è sicuramente unire il centrosinistra. Quindi non c'è nessuna vendetta anche perché il ritiro lo ha deciso Massimo». Vi aspettate qualche sorpresa dai vostri alleati? «Sono alcuni giorni che sto facendo un gioco: quello di capire quale convenienza, quale ragione può esserci che spinga un partito del centrosinistra a votare contro la coalizione. Ad oggi non me ne è venuta in mente nessuna. Siamo tutti impegnati, noi e i nostri alleati, per eleggere Franco Marini. Quindi non ci aspettiamo sorprese anche se sappiamo che il voto si deciderà sul filo di lana». Passiamo al partito. Anche qui si parla di antiche ruggini che lentamente stanno tornando in superficie. Qual è il futuro della Quercia? «Il futuro dei Ds vede l'intero gruppo dirigente del partito impegnato nel lanciare il cuore oltre l'ostacolo nella straordinaria impresa di costruire il partito democratico. Un processo che si realizzerà nei tempi e nei modi necessari e che contribuirà alla solidità della coalizione e del Paese. L'Italia ha bisogno di grandi soggetti politici senza i quali il sistema politico rischia di essere fragile. Mi auguro anche nel centrodestra si avvii un processo simile». Negli ultimi giorni lo stesso D'Alema ha parlato di «ringiovanimento» della classe dirigente. Si avvicina il prepensionamento? «Il problema posto da D'Alema è serissimo. Bisogna mettere in campo le nuove generazioni e questo vale non solo per la politica, ma per tutti i settori della società. I Ds devono farlo perché possono farlo, ma tutto il Paese ha bisogno di più giovani». Lei lo conosce bene. Alla fine D'Alema andrà alla Farnesina o preferirà restare al Botteghino? «Io lo conosco bene e so che, alla fine, Massimo sceglierà la cosa più funzionale per le esigenze del Paese, per le esigenze della coalizione e per le esigenze del partito». N. I.