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La Moratti contestata, Rifondazione tace

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Il candidato sindaco di Milano è stato fischiato alla manifestazione per la Liberazione

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Una contestazione che si è sviluppata nonostante fosse accompagnata dal padre, ex deportato a Dachau, in carrozzella, e che l'ha riguardata non tanto quale candidata a sindaco del capoluogo lombardo ma piuttosto come responsabile della scuola. E così fischi, urla, spintoni alla scorta, sono arrivati da studenti, qualche professore e da altri partecipanti alla manifestazione. Ma lei aveva preventivato tutto e alla fine ha spiegato: «Non ho mai avuto paura. Ne è valsa la pena. Per i valori della libertà, il primato della persona, della famiglia e della società civile e per la solidarietà sono disposta a battermi». È stata una giornata di applausi e dissensi, politicamente ben delineati. Ci sono stati tanti applausi e una grande dimostrazione di affetto della folla per il premier in pectore Romano Prodi, per il candidato sindaco del centrosinistra Bruno Ferrante, per il presidente della Provincia di Milano Filippo Penati (soprattutto quando ha parlato del nonno deportato e del padre partigiano), per il Nobel Dario Fo e per la moglie e neo senatrice Franca Rame, in genere per tutti gli esponenti della nuova maggioranza di governo. Invece contestazioni ci sono state dai no-global all'indirizzo del segretario uscente della Cisl Savino Pezzotta, dell'assessore forzista Tiziana Maiolo, del capogruppo azzurro a Palazzo Marino Manfredi Palmeri; una contestazione che ha rischiato di degenerare al passaggio della Brigata Ebraica («sionisti, assassini») ma che è stata contenuta dal cordone delle forze dell'ordine. E poi fischi sono stati indirizzati al sindaco Gabriele Albertini che scendeva dal palco per dirigersi all'auto di servizio. Letizia Moratti è entrata nel corteo, iniziato in piazza Oberdan, da piazza San Carlo: qui è giunta poco dopo le 15.30 insieme con il padre, Paolo Brichetto Arnaboldi, di 85 anni, e la madre Paola. Il papà, in non buone condizioni di salute, era su una carrozzella. «La mia è una partecipazione come cittadina e in particolare sono qui per accompagnare mio papà, che è stato deportato» ha spiegato ai giornalisti. «Il 25 aprile - ha aggiunto - io festeggio la festa di tutti gli italiani, di qualsiasi colore politico e di qualsiasi idea perchè questa è una festa della Liberazione da una dittatura che aveva colpito l'Italia e l'Europa e da una dittatura che ancora minaccia l'Europa, che deve avere la forza di combattere per la libertà, la democrazia e la pace». Appena terminato di rispondere alle domande dei giornalisti, il ministro dell'Istruzione ha fatto per entrare tra la folla e qui è scattata la protesta preparata di alcuni giovani (molti indossavano cartelli-sandwich contro la riforma scolastica, «Morattila»). La tensione è salita e alcuni hanno chiesto alla scorta del ministro di non mettere a repentaglio l'incolumità sua e della famiglia. Ma Letizia Moratti non ha desistito: ha preso parte al corteo per circa 200 metri, poi, alla fine di corso Vittorio Emanuele, prima dell'ingresso in piazza Duomo, è uscita dalla manifestazione, ancora fra le proteste. Il ministro ha spiegato, però, di «non aver abbandonato il corteo», ma che lei era venuta ad accompagnare il padre. La contestazione è stata condannata in modo unanime. «Disapprovo pienamente. Questa è la festa dell'unità, non della divisione», ha detto Prodi. Ed espressioni di solidarietà sono giunte alla Moratti da Ferrante, Veltroni, Albertini, Formigoni e da tanti esponenti sia del centrosinistra sia del centrodestra. Ma Rifondazione tace.

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