LA BCE ha lanciato un nuovo allarme sull'andamento dei conti pubblici di Eurolandia.
Intervenendo al Parlamento europeo per presentare il Rapporto annuale del 2005 dell'Eurotower, il vicepresidente Lucas Papademos ha usato toni chiari riguardo al futuro andamento del costo del denaro, attualmente al 2,5%. Ha dichiarato che «ulteriori aumenti dei tassi nel corso di quest'anno sono appropriati per assicurare la stabilità dei prezzi». A chi gli ha chiesto se i banchieri centrali avessero valutato, nel programmare ulteriori rialzi, l'impatto negativo che questi avrebbero avuto sulla spesa per interessi sul debito pubblico - quindi sui bilanci - di Italia e Grecia, Papademos ha risposto che tra le due cose «non c'è alcun legame». Dunque, la Bce tira dritto per la sua strada: i governi devono affrettarsi a fare le riforme strutturali ormai inderogabili e non limitarsi a criticare i banchieri centrali. Sul fronte dei conti pubblici, peraltro, nel Rapporto annuale l'istituto monetario ha adottato una posizione abbastanza allarmista. La Bce rimarca che «molti governi non hanno programmi sufficientemente completi e credibili per affrontare in maniera radicale gli squilibri di bilancio», precisando di «temere che, ancora una volta, la maggior parte dei Paesi conseguirà risultati troppo modesti nel contenere i disavanzi di bilancio e non realizzerà neanche profonde riforme strutturali». Ma non è tutto. «Senza misure aggiuntive, numerosi Paesi potrebbero non essere all'altezza dei propri impegni di risanamento». I nomi dei «peccatori fiscali» più incalliti, però, a un certo punto la Bce li tira fuori. E sono quelli di Italia, Germania, Grecia e Portogallo. I primi tre, non mancano di rimarcare da Francoforte, hanno infranto il Patto di stabilità fin quasi dalla sua entrata in vigore, nel 1999, in contemporanea al lancio dell'euro.