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di GIANNI DI CAPUA TENSIONE e irritazione.

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Nessuno voglia di parlare a livello ufficiale ma a Roma ci sono state una serie di riunioni con dirigenti volati da Milano nella capitale. Del resto molti si aspettavano che prima o poi, con il centrosinistra al governo, Mediaset sarebbe finita nel mirino di Prodi e dei suoi alleati. Lo stesso Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, aveva confidato ai suoi più stretti collaboratori i suoi timori per il futuro del gruppo televisivo. E in effetti proprio Mediaset potrebbe diventare il punto debole di Berlusconi, quello sui cui l'ex premier potrebbe essere costretto a scendere a patti con il centrosinistra. E del resto anche la richiesta di accelerare al massimo sulla legge sul conflitto di ineterssi non fa altro che confermare che proprio l'intreccio tra il Cavaliere e le tv è quello che più sta a cuore alla coalizione del Professore. Di sicuro l'Unione non farà sconti su questo tema, anche se Prodi ieri si è affrettato a gettare acqua sul fuoco delle dichiarazioni di Bertinotti. Ma la volontà di intervenire sull'azienda della famiglia Berlusconi c'è in tutta la coalizione. L'unica incertezza riguarda i tempi. L'uscita di Bertinotti ha probabilmente colto di sorpresa un po' tutti perché troppo repentina. E allora la «lettura» che alcuni danno è che in questo modo Bertinotti abbia «perfidamente» bloccato la strada a D'Alema per il Quirinale: se questo è il programma dell'Unione, è il ragionamento, meglio avere almeno un presidente della Repubblica che offra maggiori garanzie per il centrodestra. Contro Bertinotti, ieri, ha continuato a sparare ad alzo zero tutta la Cdl; sia per contrastare la richiesta di far dimagrire la presenza delle tv di Berlusconi, sia per accusare Prodi di aver mostrato di essere pesantemente condizionato dalle posizioni più estreme. Sul piano politico l'attacco è portato da Mario Landolfi, ministro delle Comunicazioni ed esponente di An, per il quale il programma a cui si richiama Prodi è già «carta straccia», visto come Bertinotti lo ha scavalcato. Anche il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa accusa Prodi di essere «Bertinotti-dipendente» di fronte alla richiesta di imporre «cure dimagranti» ad un'importante azienda anziché cercare di sostenerla, nell'interesse del paese. Anche nel centrosinistra ci si è continuati ad interrogare sulle dichiarazioni di Bertinotti. Franco Monaco, prodiano della Margherita, ha spiegato che applicare il programma dell'Unione vuol dire che le cose non possono restare come sono, ma presuppone «riformare profondamente la legge Gasparri»; il che, osserva Monaco, può avere come «corollario» anche un possibile «dimagrimento» della posizione del gruppo Mediaset nel mercato televisivo. Su questo, c'è corrispondenza di vedute col Prc, visto che Sergio Bellucci, responsabile comunicazione del partito di Bertinotti, sottolinea a sua volta che il superamento della legge Gasparri è esattamente un punto del programma dell'Unione. Tuttavia le critiche a Bertinotti non si limitano all'aspetto dell'opportunità. Per Marco Rizzo, del Pdci, il segretario del Prc sbaglia ad attaccare «l'azienda Mediaset» perché, invece di colpire Berlusconi, finisce per danneggiare i lavoratori del gruppo. Mentre il presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, esclude qualsiasi legge ad hoc contro le tv di Berlusconi, anche se chiede una regolamentazione che aiuti le piccole emittenti e la carta stampata a raccogliere pubblicità.

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