Nei Ds è partito il «processo» a Fassino
Probabilmente sì, altrimenti non si capisce come mai, in un momento così decisivo, il segretario Ds potesse ostentare tanta incauta soddisfazione. Certo, Fassino probabilmente non sapeva cosa sarebbe successo di lì a qualche ora, non sapeva (o forse sì) che Massimo D'Alema, sfinito da una trattativa estenuante per strappare la presidenza della Camera a Fausto Bertinotti, avrebbe alzato bandiera bianca gettando più di un'ombra sul peso dei Ds all'interno della coalizione di centrosinistra. In ogni caso, sapesse o non sapesse, il segretario parlava d'altro esprimendo soddisfazione sia per il risultato dell'Ulivo («fattore trainante del centrosinistra») che per quello della Quercia. Parole che hanno suscitato più di una perplessità nella platea scatenando l'ira delle minoranze interne al partito. E così, nei Ds, è ufficialmente iniziato il processo al segretario. Dopotutto già prima del voto il segretario era finito nel mirino dei suoi per «l'affaire» Unipol. Ma l'imminenza della campagna elettorale aveva favorito una soluzione intermedia con i vertici della Quercia che facevano mea culpa e le minoranze che rinviavano a data da destinarsi il regolamento di conti. Adesso, invece, la situazione sembra essere precipitata. Checchè ne dica Fassino, infatti, quel 17,5% strappato dalla Quercia il 9 e 10 aprile al Senato è tutto fuorché «soddisfacente». Non è un segreto, infatti, che i sondaggi interni al Botteghino, alla vigilia del voto, accreditassero il partito di un consenso superiore al 20%. Venerdì il leader del Correntone Fabio Mussi lo ha detto senza peli sulla lingua: «I risultati dei Ds al Senato non sono entusiasmanti visto che si è passati dal 16,8% del 2001 al 17,5%, dopo 5 anni di berlusconismo e dopo tante vittorie alle amministrative». La storia, soprattutto quella recente, racconta che nella Quercia «segretario che perde si cambia» (ricordate Occhetto?). Ergo per Fassino sembra avvicinarsi la fine della sua esperienza alla guida dei Ds. Anche perchè, negli ultimi giorni, altri elementi hanno rafforzato l'impianto accusatorio nei confronti del segretario. Il primo è sicuramente il fallimento del braccio di ferro per la presidenza di Montecitorio. Il segretario lo aveva ripetuto in tutte le salse: siamo il primo partito della coalizione è più che legittimo che chiediamo (e quindi ci diano) la presidenza della Camera. Parole che non hanno fatto breccia nel cuore del Professore che, invece, ha preferito rinsaldare l'asse con Rifondazione Comunista chiudendo la porta in faccia a chi, in questi mesi, lo ha sostenuto più di ogni altro. E così Fassino, segretario del primo partito della coalizione, si è trovato, almeno per il momento, con un pugno di mosche. E in molti già dubitano che potrà dire la sua sulla partita per il Quirinale. Come se non bastasse, anche se tutti si ostinano a dire che la decisione di D'Alema è stata presa in «assoluta concordia» con Fassino, è chiaro che i dalemiani sono ormai sul piede di guerra. Il leader Maximo starebbe già pensando a come riprendersi in mano il partito che, in questi anni, proprio Fassino gli ha progressivamente scippato attraverso una «fassinizzazione» delle strutture dirigenti. I rumors danno ormai Pier Luigi Bersani come sicuro successore di Fassino a via Nazionale, ma può anche darsi che, alla fine, D'Alema e i suoi si accontentino di un'opportuna compensazione, magari con qualche poltrona di peso all'interno del governo. Intanto, sullo sfondo, resta ancora un'altra partita da giocare. Una partita che, neanche a dirlo, potrebbe risultare fatale al segretario Ds: quella per il partito democratico. Infatti, mentre Fassino cerca di accelerare forte del risultato dell'Ulivo, i suoi oppositori frenano. «La priorità è far partire il governo poi a settembre raggioniamo su cosa dobbiamo fare» ha detto venerdì il leader della sinistra Ds Cesare Salvi. In