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Il «leader Maximo»resta comunque ancora in corsa per il Quirinale e per la Farnesina

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Il presidente Ds affida ad una nota la sua scelta di rinunciare per, spiega, «assicurare la tenuta unitaria di una maggioranza che deve affrontare sfide difficili e a cui guarda con fiducia un così gran numero di italiani». «Un gesto gratuito» commenta il dalemiano Giuseppe Caldarola (che attacca l'ostinazione del leader del Prc). Ma soprattutto una comunicazione che leva definitivamente d'impaccio il Professore che subito commenta: «Ringrazio Massimo D'Alema e i Ds per l'alto senso di responsabilità che hanno espresso in questa occasione». Partita chiusa e palla al centro. Per la verità già durante la giornata, all'Hotel Quirinale di Roma, durante i lavori della direzione della Quercia, si respirava aria di imminente ritiro. Con D'Alema che si dichiarava disposto a fare un passo indietro e con Fassino che, pur ribadendo di ritenere «fondata la richiesta di dare una carica istituzionale al maggior partito della coalizione», lasciava filtrare l'ipotesi di una debacle. «In ogni caso - aveva commentato il segretario Ds concludendo la direzione - l'autorevolezza di D'Alema resta intatta, qualunque sia la sua collocazione». Parole che sembravano quasi una commemorazione postuma. Così quando in serata D'Alema ha ufficializzato la propria rinuncia un'altra domanda ha cominciato a circolare insistentemente: ma ora che ha «perso» la battaglia per lo scranno più alto di Montecitorio, cosa succederà? Già perché nessuno lo dice ufficialmente, ma la politica, si sa, è fatta di compensanzioni. E quale può essere l'opportuna compensazione per l'uomo che è stato presidente del Consiglio e ha rinunciato, con un gesto di «responsabilità istituzionale», alla presidenza della Camera? I possibili scenari hanno cominciato a farsi strada. In pole position l'ipotesi che Massimo D'Alema possa decidere di giocare la partita per il Quirinale. Già nelle scorse settimane, per la verità, si era parlato di un possibile scambio Camera-Colle, ma il «leader Maximo» sembrava aver cortesemente declinato l'invito. Anche perché, realisticamente, più che un'ipotesi sembra un'utopia. Per essere eletto, infatti, D'Alema avrebbe bisogno di un consenso trasversale che al momento non sembra avere. Se non sarà Quirinale i ben informati dicono che sarà ministero degli Esteri. Ma anche questa idea sembra lentamentamente sfumare a causa delle posizioni un po' troppo «critiche» di D'Alema nei confronti di Israele e degli Usa che ne sconsiglierebbero la nomina. A questo punto la partita si complica ulteriormente perché solo una cosa potrebbe saziare la «sete» del presidente Ds: riprendere in mano il controllo del partito. E qui la strada sembra tutt'altro che in salita. Fassino, infatti, è ormai quotidianamente sul banco degli imputati e, anche ieri, le componenti di minoranza del partito non hanno perso occasione per criticarlo sia per il risultato deludente delle elezioni che per la gestione della candidatura di D'Alema. Ora che le «battaglie istituzionali» sono chiuse, sembra assai difficile che Massimo D'Alema possa rinunciare a mettere in atto la sua «personale vendetta». Inoltre, con Fassino lontano da via Nazionale (magari ridotto al ruolo di vicepremier-scudiero di Prodi), saranno i dalemiani a gestire il cammino verso il partito democratico. Una strada su cui D'Alema potrebbe ritrovare anche la vecchia alleanza con il sindaco di Roma Walter Veltroni. Nel frattempo, ieri sera, Fassino ha sottolineato il grande senso di responsabilità del presidente Ds. Un senso di responsabilità che, forse, gli sarà fatale.

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