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Bertinotti

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scopre la flessibilità

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È la negazione dell'alternanza, quindi della democrazia. E di «inciuci» non se ne parla proprio. Ma la vittoria di stretta misura dell'Unione richiede un atteggiamento flessibile, aperto e dialettico con la futura opposizione. Perché, se si può governare con il 51% dei voti, per fare le riforme ci vuole il consenso di almeno il 60% per cento del Paese. Forte del successo elettorale che ha premiato il mix di «fedeltà unitaria» alla coalizione guidata da Prodi e di radicalità nelle proposte riformatrici, il segretario di Rifondazione sembra l'unico nella coalizione di centrosinistra ad avere un comportamento insieme coerente e concreto. Da un lato, infatti, c'è l'impegno di cancellare o modificare sostanzialmente alcune leggi varate dal governo Berlusconi. Dall'altro, si persegue l'obiettivo di superare l'improduttiva logica «nemico-amico» e di coinvolgere nel cambiamento anche l'elettorato della CdL. Sì, perché il dato più negativo (per tutti) di queste elezioni è la spaccatura in due dell'Italia, una fotografia resa più «contrastata» dalla violenta volgarità della campagna elettorale. E Bertinotti, perfettamente consapevole di ciò, si è reso conto che esiste una parte considerevole della Penisola con cui «non parliamo» e che «non conosciamo». E allora? Allora il binario sul quale far procedere il treno del governo, per il «subcomandante Fausto» (che ieri ha parlato molto probabilmente di questo con Prodi durante un incontro in Umbria durato due roe e definito «cordiale») è rappresentato dalle rotaie della discontinuità rispetto al passato, e della conquista di un più ampio consenso nel Paese. La discontinuità dalle poltiiche del centrodestra è rappresentata dalla sostanziale modifica di leggi come la Biagi, la Moratti, la Gasparri, la Bossi-Fini e quella sulla droga. Una delle bandiere del Prc è ed è sempre stata la lotta al precariato, tanto da allargare il concetto dal lavoro alla vita stessa degli italiani. Il consenso, invece, si raccoglie in due modi: dimostrando a chi non ha votato per l'Unione che la coalizione prodiana può governare meglio di quella che l'ha preceduta; essendo presenti e attivi sul territorio (uno dei punti di forza di Rifondazione nell'ultima campagna elettorale) per parlare soprattutto a chi non ha infilato nell'urna una scheda a favore del Prc. Insomma, l'Unione vuole, deve e può governare. E ha i numeri per farlo. E però, invece di farlo «spaccando» e creando due fronti contrapposti, deve cercare il dialogo, non marciare a colpi di maggioranza e di fiducia, non usare un linguaggio «bellico». È l'unica strada, pensa Bertinotti, per chi non vuole soltanto governare il Paese. Ma vuole davvero cambiarlo.

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