«Considerano l'Europa
«Non a caso - continua - sono stata inserita al dodicesimo posto con nessuna possibilità di essere eletta. L'ho fatto solo per dare il mio contributo alla campagna elettorale». Diversi suoi colleghi, invece, hanno fatto una scelta diversa, perché? «Stare in Europa è un impegno oneroso. Purtroppo c'è chi vive questa esperienza come una parentesi da chiudere alla prima occasione utile». Ma scusi come si fa ad andarsene da Straburgo dopo appena due anni? Non c'è il rischio di buttare al vento tutto il lavoro fatto? «Per la verità, molti dei colleghi che hanno scelto di tornarsene in Italia, in questi due anni in Europa, hanno fatto ben poco». Non è che qualcuno pensa che gli europarlamentari siano una sorta di «deputati di serie B»? «Questa mentalità, tipicamente italiana, di relegare ad un ruolo secondario l'Europa, ci ha penalizzato molto. Abbiamo perso tantissime battaglie e, solo negli ultimi anni, abbiamo recuperato un po' del tempo perduto. Purtroppo c'è chi continua a ragionare in questo modo e ad utilizzare le istituzioni come un taxi». Lei ha parlato di mentalità tipicamente italiana. I vostri colleghi europei sono più seri? «Certo, esiste sempre l'eccezione che conferma la regole. Può capitare, infatti, che un ottimo europarlamentare debba tornare in patria per servire il proprio Paese o come ministro, o come sindaco di una grande città. Putroppo, però, l'ipotesi di trascorrere una parentesi in Europa per tornare il prima possibile a casa, è tipicamente italiana». N. I.