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Romano sarebbe determinato a imporre almeno due o tre suoi «fedeli». Si parla di Parisi, Padoa Schioppa e De Castro

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Alla fretta di Prodi il presidente Ciampi ha già opposto mercoledì il «freno» dei tempi tecnici, delle scadenze elettorali e istituzionali che non permetteranno al nuovo esecutivo di insediarsi a Palazzo Chigi prima di metà maggio. E però sul fronte del «totoministri» si registra già un confronto serrato fra il leader dell'Unione e le segreterie dei partiti. Un confronto appena abbozzato, perchè finora ogni ipotesi sul toto-ministri era stata «congelata» dai sospetti alimentati da Berlusconi su possibili brogli. Il Professore, rafforzato dal successo dell'Ulivo alla Camera, vuole dare un'impronta molto personale al governo. Le organizzazioni politiche che hanno fatto parte della coalizione (sebbene Ds e Margherita abbiano avuto risultati assai inferiori a quelli sperati e, in assoluto, decisamente deludenti) reclamano il loro «compenso» per aver contribuito alla fragile vittoria del centrosinistra. Il Professore e i partiti. Accantonate le denunce di irregolarità a favore dell'Unione, Prodi starebbe buttando sulla bilancia la sua spada di Brenno. Ed è determinato a imporre almeno due o tre ministri. Uno dei più «papabili» è Arturo Parisi, tra i «lungimiranti» promotori dell'Ulivo e in pole position per la Difesa. Il suo nome, tuttavia, circola anche per il Viminale (accanto a quello di Francesco Rutelli). Giulio Santagata, il prodiano che ha fatto parte della terna propagandistica insieme con Renzo Lusetti e Fabrizio Morri, è anche lui in odore di ministero. Potrebbe, però, «accontentarsi» di un sottosegretariato, purché «robusto». Tra gli altri Prodi-boys si contano Tommaso Padoa Schioppa (Economia), e Paolo De Castro (Politiche agricole, ambito anche dal verde Pecorario Scanio e dal segretario dell'Udeur Clemente Mastella). Poi ci sono le richieste dei partiti, ognuno con il suo «sacco» più o meno gonfio di voti da mettere sul piatto. La Rosa nel Pugno, a causa della scarsa «prestazione» elettorale, non può aspirare a un ministero importante: si era parlato di Emma Bonino alla Farnesina; ora non se ne parla più e al massimo si ipotizza per la combattiva radicale il posto della Prestigiacomo, cioè le Pari Opportunità, oppure le Politiche Comunitarie. Rifondazione avrà sicuramente una poltrona da ministro più «spiccioli» (vedi presidenza della Camera). Stesso discorso per Verdi (Alfonso Pecoraro Scanio all'Ambiente), Comunisti Italiani (Oliviero Diliberto sarà ministro ma, probabilmente, non della Giustizia come si pensava) e Italia dei Valori. E anche il partito di Rutelli avrebbe il suo «premio». Le indiscrezioni danno Linda Lanzillotta all'Innovazione, Sergio D'Antoni alla Funzione Pubblica, Rosi Bindi all'Istruzione (con un punto interrogativo sia sulla possibilità che abbia un dicastero sia nel merito di quale otterrà). I Ds sono in lizza per gli Esteri (con il segretario Piero Fassino, che potrebbe fare anche il vicepremier senza deleghe ministeriali e, con lui, Rutelli), le Attività produttive (si parla di Pierluigi Bersani, debolmente «insidiato» da Enrico Letta della Margherita), la Giustizia (Anna Finocchiaro) mentre Giovanna Melandri, potrebbe essere, nell'ordine, «ministra» del Turismo (dopo aver scorporato il dicastero dalla Cultura), dell'Istruzione o tornare ai Beni Culturali. Per la Sanità, poi, si ipotizza la «soluzione tecnica». Il nodo delle presidenze. L'elezione dei presidenti delle due Camere è la prima tappa di lavoro della nuova maggioranza. Ma è anche un nodo difficile da sciogliere. Per il Senato circola il nome di Franco Marini (dei Dl), per quella dei Deputati si danno per certi Fausto Bertinotti o Massimo D'Alema. A quanto pare, Prodi vorrebbe far accettare al «subcomandante» Fausto la vicepresidenza del Consiglio per lasciare a D'Alema la poltrona di Montecitorio. Ma lui non ne vuole sapere. Se ne riparlerà dopo Pasqua.

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