di NICOLA IMBERTI FINISCE con Piero Fassino che, con il volto stanco e preoccupato (segno di un pomeriggio ...
Un lieto fine che in molti aspettavano già dal primo pomeriggio quando le televisioni avevano cominciato a rendere noti i primi dati. Un lieto fine che, però, dimentica in maniera clamorosa quanto accaduto al Senato. E pensare che la giornata si era aperta con i volti sorridenti e distesi dei diessini impegnati ad accogliere i giornalisti che arrivavano alla spicciolata al Botteghino mentre i big, nella «stanza dei bottoni», erano in attesa dei primi exit poll. Il primo a presentarsi (poco dopo le 15) è il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca. I cinque punti di vantaggio dell'Unione sulla Cdl giustificano un certo ottimismo. «L'Italia ha scelto di cambiare - dice senza mezzi termini Migliavacca -. Si tratta di exit poll ma la tendenza è chiara. Si chiude la stagione di Berlusconi e si apre una fase politica nuova». Un'ora dopo è la volta del capogruppo alla Camera Luciano Violante che, uscendo del Botteghino, commenta con un sorriso malizioso: «Per la prima volta prendiamo più voti del centrodestra nel proporzionale, non era mai successo». C'è euforia, ma non tanta da cancellare un dato a dir poco allarmante. Secondo le prime proiezioni, infatti, la Quercia al Senato si attesta tra i 17 e il 20%. Qualcuno commenta con un secco «è impossibile», ma voci di corridoio parlano di un Fassino «molto preoccupato». «Vinciamo le elezioni - commenta amaro un esponente Ds - e il primo partito italiano è Forza Italia». «È il prezzo pagato al progetto del partito democratico» gli fa eco un altro. Un'analisi tutt'altro che improvvisata visto che, dalle prime proiezioni, mentre la Quercia sembra destinata ad una clamorosa sconfitta, Rifondazione, Pdci, Verdi e Rosa nel Pugno crescono a vista d'occhio. Insomma, cala la sinistra riformista che ha scelto l'apparentamento con i moderati della Margherita, cresce la sinistra radicale. E il partito democratico si allontana. Ma la parola d'ordine è non perdere la calma anche perché i sondaggi in possesso del Botteghino parlano di una Quercia tra il 20 e il 23%. Così, i vari esponenti Ds che si alternano davanti alle telecamere ostentano ottimismo anche se, lentamente, quella che all'inizio sembrava una drammatica ipotesi, comincia a trasformarsi in una tragica realtà. Il dato comincia lentamente a stabilizzarsi intorno al 18% per poi scendere al 17,5%. Certo, a sentire Luciano Violante è comunque una vittoria («eravamo al 16%»). Ma nei fatti è una sconfitta. Poco conta che l'Unione sia fino all'ultimo in predicato per vincere, anche se di poco, la battaglia finale. La guerra del Botteghino è già persa a metà pomeriggio. Certo, l'Ulivo alla Camera ha fatto segnare un buon risultato, ma il prezzo pagato dalla Quercia è comunque troppo alto. Anche perché, a fianco del dato nazionale del partito, cominciano lentamente ad arrivare i dati della singole Regioni. Due risultati su tutti si abbattono sul Botteghino come un fulmine a ciel sereno: le sconfitte in Piemonte e Puglia. Due Regioni governate da poco più di un anno dal centrosinistra che hanno visto impegnati in prima persona, come capolista alla Camera, Massimo D'Alema e Piero Fassino. In Piemonte poi, come se non bastasse, il presidente Mercedes Bresso è espressione dei Ds. Ce ne è abbastanza per mettere sul banco degli imputati i vertici della Quercia. Ovviamente nessuno si sbilancia. Anzi, ben presto, l'unica strategia diventa quella di spostare l'attenzione sul dato complessivo dell'Unione e dell'Ulivo. «È l'Ulivo che ha vinto le elezioni - commenta Angius -. È la prima forza politica del Paese. È un progetto a cui abbiamo lavorato in questi anni ed è la grande novità». Arrivano anche gli exit poll interni della Quercia che danno la vittoria all'Unione. Mentre Violante rimanda a data da destinarsi il progetto del partito democratico. «Il partito democratico - dice - sarà fatto, non so quando. Vedre