I Poli con l'incubo pareggio al Senato

Ed è quello di una vittoria elettorale talmente risicata da non garantire la possibilità di formare un governo. Mai come questa volta, infatti, a molti osservatori il Paese appare spaccato esattamente a metà, con gli indecisi, probabilmente a fare da ago della bilancia. Quello che angustia i partiti non è tanto il risultato della Camera, dove comunque la legge elettorale garantisce anche a chi vince con un minimo scarto un premio di maggioranza che assicura un gruppo di parlamentari abbastanza consistente da poter governare. Il problema vero — ed è stato un po' il leit-motiv di tutta questa lunghissima campagna elettorale — è il risultato del Senato. Con la nuova legge, gli eletti a palazzo Madama saranno scelti su base regionale. E questo nuovo sistema complica molto le cose. Perché tutti i calcoli fatti anche nelle ultime ore dai partiti garantiscono a chi vincerà, si tratti di centrodestra o centrosinistra, solo una manciata di senatori in più rispetto all'avversario. Ma c'è anche chi teme la possibilità che la maggioranza possa essere addirittura diversa da quella che sarà eletta a Montecitorio. Un'eventualità neppure troppo peregrina che aprirebbe la strada a una serie di ipotesi, prima tra tutte quella che si vada a rivotare, come hanno più volte detto molti leader, da Fini a Casini a D'Alema. Carlo Azeglio Ciampi potrebbe infatti decidere di non dare l'incarico di formare il governo all'eventuale vincitore e rimandare tutti alle urne. Ma c'è anche chi avanza un'altra ipotesi: a metà maggio ci sarà l'elezione del prossimo capo dello Stato e Ciampi potrebbe decidere di «passare la mano» lasciando al suo successore la scelta di che cosa fare. Ipotesi che comunque non affascinano nessun leader. La speranza è che anche con un piccolo vantaggio al Senato si riesca comunque a formare il nuovo governo. Dopo, ragionano i partiti, ci sarà spazio per «acquistare» un po' di senatori dello schieramento avversario fino a raggiungere un numero che consenta di governare a palazzo Madama con sufficiente tranquillità. E in questo caso l'area più «in movimento» sarà quella del centro dei due schieramenti, formata da quei partiti che maggiormente si sentono vicini: Forza Italia e Udc da una parte, Margherita e Udeur dall'altra. Del resto già durante quest'ultima legislatura le migrazioni non sono mancate. Ma una soluzione di questo tipo, alla quale i partiti stanno già pensando da tempo, aprirebbe forse la strada anche in Italia a quel nuovo centro, alla «Grosse Koalition» sul modello tedesco, che in molti sognano. Basti pensare ai suggerimenti offerti il 20 marzo scorso dal quotidiano britannico Financial Times che spiegava: «Una grande coalizione potrebbe risolvere i problemi dell'Italia». Il giornale più attento agli umori della City ritiene infatti che né Berlusconi né Prodi abbiano «una coerente strategia» in grado di rilanciare l'economia italiana, in quanto «entrambe le coalizioni servono troppi interessi settari». Di qui l'auspicio di una nuova area di centro, che secondo il Financial Times potrebbe verificarsi in due casi: maggioranza alla Camera diversa da quella del Senato o vittoria di stretta misura del centrosinistra. In quest'ultimo caso, specifica il quotidiano della City, «Prodi potrebbe diventare primo ministro ma con una maggioranza non sufficiente a consentirgli di governare per l'intera legislatura. Una grande coalizione ad interim potrebbe seguire la caduta di una tale amministrazione». E lo spettro della grande coalizione è tornato a fare capolino anche nelle ultime dichiarazioni televisive. Intervistato da una tv barese, il presidente Ds Massimo D'Alema non ha snobbato questa eventualità. Spiegando però che sarebbe disposto a entrare in una «Grosse Koalition» solo con una compagnia di suo gradimento: «Con Tabacci e Follini la farei, addirittura anche con Casini. Il problema è tutto quello che si portano dietro. Certo avrei qualche difficoltà a farla con Berlusconi e Tremonti». Valutazioni che a seguito delle indicaz