di MAURIZIO GALLO LA FESTA prima della festa comincia e finisce in musica.
La festa prima della festa (quella «vera» ci sarà lunedì, ne sono tutti sicuri, chi parla dal palco e chi ascolta in piazza) è fatta di parole rassicuranti e di verbi coniugati al futuro. E si conclude con la parola «felicità». Il primo a parlare è il sindaco di Roma, che porta il suo breve saluto ai presenti e il suo supporto ai comizianti: «L'Italia è un grande Paese, ma ha bisogno di una guida serena e sicura che lo faccia uscire da questo clima di aggressività: Prodi è la persona giusta per fare questo, ha la capacità e la serenità in grado di riunire gli italiani dopo anni di grandi divisioni», dice Walter Veltroni, aprendo la manifestazione di chiusura della campagna elettorale ulivista. Gli applausi scrosciano e sono sinceri. È lui, pensano tutti, il «vero» leader del centrosinistra. Ma le alchimie di alleanza partitiche lo hanno messo in «panchina», in attesa del momento buono, che forse arriverà tra un lustro. Poi Enrico Bertolino, che farà da «presentatore» ai capi della coalizione, introduce il primo oratore, anzi la prima, la repubblicana Luciana Sbarbati: «Sarete migliaia - si rivolge al pubblico Bertolino - coglione più, coglione meno. Ma come si fa - aggiunge rivolgendosi questa volta alla candidata e riferendosi ai suoi «cugini» lamalfiani - ad essere repubblicano e ad allearsi con un monarca?». Quindi lascia la parola alla Sbarbati: «Berlusconi ha perso, non ha più carisma perchè ha raccontato balle - sostiene, anche lei già con tono da vincitrice - Essere repubblicani significa rispettare la Repubblica. Mai e poi mai un repubblicano potrebbe stare con chi ha impersonato l'anti-Repubblica come Berlusconi, oppure con i fascisti». La segretaria dei Repubblicani Europei conclude dicendo che Berlusconi è politicamente morto e cita di nuovo (lo aveva già fatto alla convention del Palalottomatica) un poeta del '500: «Il Cavaliere non se ne era accorto, andava combattendo ed era morto». È il turno di Piero Fassino. «Non è in gioco solo il governo e non vogliamo misurare quanti voti raccoglie questo o quel partito ma è in gioco il destino del Paese - sottolinea il segretario dei Ds - La parola chiave della campagna del centrodestra nel 2001 fu "più per tutti". Berlusconi propose il contratto con gli italiani e la maggior parte accettò questo patto. Si affidò a lui. Cinque anni dopo, ogni italiano può valutare l'enorme differenza tra il sogno evocato e quello che è stato dato. Se Berlusconi avesse buoni argomenti non avrebbe bisogno di una campagna elettorale aggressiva e sciagurata - continua Fassino - Questa è la prova del suo fallimento e della sua insicurezza. Alza la tensione del Paese, incendia le polveri per compattare il suo elettorato, promette di abolire le tasse. Ma è una strategia disperata. Se a noi appare possibile la vittoria è perché abbiamo condotto la campagna con una visione più alta, rispondendo alle ansie, alle inquietudini e alle aspettative di un popolo. Sì, possiamo farcela, l'Italia può tornare ad essere un grande Paese!». Poi il segretario Ds si appella agli «indecisi» e persino agli elettori della CdL: a chi «in buona fede» pensa che Berlusconi sia la soluzione, dice: «No, Berlusconi è il problema, la soluzione è togliere il Paese dalle mani di Berlusconi». Il microfono ripassa a Bertolino, che ne approfitta per chiedere «un posto e dignità» per Enzo Biagi. Poi a Francesco Rutelli: «L'11 apr