«Sì è vero sulle tasse abbiamo sbagliato»
Romano Prodi, ospite ieri di Lucia Annunziata su Rai3, recita il «mea culpa» sulla questione della tassa di successione, diventata in questi ultimi giorni l'argomento clou dello scontro elettorale. Il Professore spiega di aver dato «una risposta d'istinto», quando ha detto che l'imposta sarebbe scattata sui patrimoni superiori a 250mila euro. Con quella cifra, riconosce il candidato premier del centrosinistra, oggi si compra «una casa di 80 metri quadrati in periferia». Ma ora, assicura, l'Unione ha riflettuto e ha raggiunto un'intesa tra tutte le componenti. Il famigerato balzello sulla successione dei beni colpirà solo «le fortune di alcuni milioni di euro». Prodi fa un esempio in prima persona: con il suo appartamento da 600-650 mila euro a Bologna, sarebbe «ben lontano dal dover pagare». Inoltre, saranno del tutte esentate le imprese e le attività commerciali che passano di padre in figlio. Nonostante le polemiche, il Professore continua a mostrarsi sicuro del fatto suo. Dalla querelle sul fisco ritiene di non aver subito danni in termini di voti. E rivela di avere «più di un sondaggio» che gli darebbe ragione. Però ammette anche che «se c'è pareggio si deve rivotare e al più presto, in pochi mesi», anche se questo risultato sarebbe per lui «evidentemente» una sconfitta. Quanto alla possibilità di ricandidarsi in questo caso, il Professore chiarisce: «Io sono qui con un disegno che è quello dell'Ulivo. Se questo disegno ha una possibilità, io ci sono. Altrimenti no». Ma la Cdl non si è lasciata sfuggire l'occasione della retromarcia sulla tassa di successione per sparare bordate sul Professore. Pier Ferdinando Casini ricorre al sarcasmo: «Prodi, come al solito, ha qualche problema con le cifre, nonostante facesse finta di essere un economista...». E ancora: «Un uomo politico che va in tv e ha il coraggio di dire che un grande capitale ammonta a 250mila euro è un pericolo per il ceto medio». Contro Prodi anche Alleanza Nazionale: Gianni Alemanno trova «sconcertante» la posizione del leader dell'Unione, al quale rimprovera un alto tasso di «improvvisazione». Massimo D'Alema, però, respinge le critiche della maggioranza e dice che l'imposta «ha un valore di solidarietà perché è giusto che chi ha un grande patrimonio paghi in relazione a quanto possiede». Altro fronte sempre aperto, nella battaglia economica tra i Poli, è quella dei dati sui conti pubblici. Ora che il ministro Tremonti ha anticipato la relazione trimestrale di cassa preparata dalla Ragioneria dello Stato, il centrosinistra conferma pesanti dubbi sulla loro attendibilità. Qualcuno parla di dati ritoccati dal governo per nascondere la debolezza dei conti pubblici, in particolare per quel 3,8% che indica il rapporto deficit-pil e che il governo giudica come un risultato soddisfacente, in linea con gli impegni presi a Bruxelles. Prodi si mostra scettico: «Non posso dire che i dati diffusi siano taroccati perché il documento completo ancora non è uscito, ma posso dire che non mi fido». La sinistra attacca anche sul versante delle prospettive economiche del Paese. Enrico Boselli, dello Sdi, definisce «pessimi» i dati della trimestrale, una conferma che «l'Italia è una paese a crescita zero» nonostante «le promesse da marinaio di Berlusconi e Tremonti». Di «fallimento» della politica del centrodestra parla Fausto Bertinotti, in sintonia con Oliviero Diliberto, che punta l'indice contro «il balletto di cifre» della maggioranza. Clemente Mastella accusa Tremonti di «mistificare», mentre Antonio Di Pietro ammonisce: «non c'è bisogno di altri falsi, il governo deve andare a casa». Ma il vicepremier Gianfranco Fini respinge seccamente tutte le speculazioni: «Il duello sull'interpretazione dei conti non ha ragione di esistere perchè i numeri non si interpretano: i numeri si leggono». Poi sottolinea: «I numeri sono inequivocabili nel dire che abbiamo rispettato gli impegni presi».