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Berlusconi-Montezemolo, industriali divisi

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La rottura tra i due durante una cena sulla Casilina. Allo scoperto il fronte governativo di Confindustria

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È quello che pensano alcuni imprenditori vicini al governo in merito alle dichiarazioni del premier rivolte al presidente della Confindustria. Dicendo che «Montezemolo non parla a nome di tutti gli industriali ma a nome suo» Berlusconi avrebbe rivelato che non tutto il mondo imprenditoriale è schierato con Montezemolo quando questo sostiene che «il governo ha fatto poco o nulla per la competitività delle aziende». Il premier avrebbe rivelato ai suoi collaboratori che i lombardi, i veneti non si sentono rappresentati dalla linea di Montezemolo. La rottura tra Berlusconi e il presidente della Confindustria sarebbe avvenuta giorni fa nel corso di una cena. Durante l'incontro in un ristorante alle porte di Roma, sarebbero stati afrontati diversi temi dalle scalate bancarie al tentativo di scalata del Corsera. Ed è a questo punto che la conversazione si sarebbe fatta più accesa concludendosi con il premier che alzava la voce. Di qui la decisione di berlusconi di fare pressing su Montezemolo, spingerlo verso il centrosinistra, in modo da fare emergere la linea alternativa che, secondo il suo convincimento, è forte in Confindustria. Insomma non tutti gli imprenditori sono dell'idea che sia imputabile alla politica e del governo la crescita zero dell'economia. Ma all'interno di Confindustria c'è anche la consegna a rimanere defilati. Tra quelli che hanno partecipato agli incontri conviviali di FI il leit motive è sempre lo stesso: se il Paese non decolla è perchè non si apre al mercato, perchè sopravvivono ancora le corporazioni, le banche conservano posizioni di privilegio e non si investe in innovazione. In sostanza se l'economia non marcia è da imputarsi alle troppe rendite di posizione di incatenano il mercato più che a quello che il governo avrebbe potuto fare ma non ha fatto. E qui si elencano le riforme dal diritto societario a quello fallimentare, alla riforma fiscale. «Certo l'Irap poteva essere ridotta di più ma mancavano i soldi» fa notare Michele Perini, ex presidente di Assolombarda e ora a capo della Fiera di Milano. Sottolinea anche che «sulla contraffazione il governo con il viceministro Urso ha fatto più di altri Paesi dela Ue e che riguardo al problema energetico, il caso Enel-Suez, la posizione del ministro Tremonti è condivisibile. Che dire poi - aggiunge - dei conti pubblici che Bruxelles considera accettabili anche se con riserve». Difficile parlare di veri e propri schieramenti pro Prodi e pro berlsuconi all'interno di Confindustria. A parte alcuni nomi notoriamente a sostegno del centrosinistra quali Luigi Abete, Diego Della Valle, Vittorio Merloni, Anna Maria Artoni, per altri si può parlare di «velata simpatia» per il centrodestra. Tra questi si potrebbe porre il presidente di Assolombarda Diana Bracco, Alberto Bombassei, il presidente di Federchimica Giorgio Squinzi, l'ad di Autostrade Vito Gamberale, e il presidente di Parmacotto Marco Rosi. E poi altri big dell'alimentare come Francesco Amadori, Luigi Cremonini, Sante Levoni, noto produttore dello zampone e Vittorio Fini re dei tortellini. Sono vicini al centrodestra anche l'ex presidente della Confindustria Antonio D'Amato e il patron della Geox Marco Moretti Polegato. Guarda con favore a Berlusconi anche gran parte della piccola industria che teme con l'arrivo del centrosinistra al governo un ridimensionamento dela legge Biagi e norme meno flessibili per il mercato del lavoro. Timori diffusi riguardano la possibilità che al ministero del lavoro e dell'Industria finiscano esponenti della sinistra legati a ambienti più radicali. Ha preoccupato inoltre il silenzio con cui Prodi ha seguito le tesi del leader sindacale Guglielmo Epifani durante il congresso della Cgil. In molti hanno visto un'apertura di credito verso le posizioni più rigide della Cgil in materia di lavoro. Come pure sono state accolte con sospetto alcune dichiarazioni su un ritorno alla scala mobile e quelle posizioni che insistono sulla giusta combinazione di scarso precariato e flessibilità.

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