Tremate, tremate, i comunisti son tornati
Conclude così il suo intervento, tra gli applausi e i pugni alzati al cielo, il segretario del Pdci Oliviero Diliberto. L'occasione è l'apertura della campagna elettorale del partito, il luogo il teatro Ambra Jovinelli di Roma. Una manifestazione per cui l'esortazione di un famoso film di Nanni Moretti (quel «dì qualcosa di sinistra» rivolto a Massimo D'Alema) è assolutamente fuori luogo. Qui, infatti, tutto è rigorosamente «di sinistra». Anzi, il motivo del contendere è proprio questo: il rischio che, alla fine, l'Unione si trasformi in una sorta di nuova Dc in cui, a farla da padrone, siano i Mastella e i Rutelli. Per questo Oliviero Diliberto confessa il suo sogno: avviare un processo federatico che riunisca nuovamente tutte le anime della sinistra. In una parola: far rinascere il Pci. Un'impresa non da poco visto che, come sottolinea lo stesso Diliberto, i compagni di viaggio sembrano tutti in altre faccende affaccendati. A partire dai Ds che, dopo aver perso per strada la «P» del «Pds» di Achille Occhetto, ora si preparano a perdere anche la «S» per confluire in quel «Partito Democratico» che ai Comunisti Italiani proprio non piace. E Diliberto non nasconde certo il suo dissenso e rivolgendosi ai Ds domanda: «Non siamo più simili noi a voi che gli ex democristiani?» Poi tocca a Bertinotti che il segretario non nomina mai (ci pensa al suo posto Giulietto Chiesa quando parla «dell'illusione di Bertinotti di fare da solo l'asse pigliatutto di ciò che c'è a sinistra dei moderati»), ma che è l'oggetto di qualche frecciatina prima del distensivo: «Noi non abbiamo nessuna asperità con il Prc». Insomma, al momento, sulla strada che porta verso la rinascita del Pci, gli unici compagni di viaggio di Diliberto e i suoi sono i Verdi di Pecoraro Scanio che, non a caso, si presenteranno assieme al Pdci al Senato. Per il resto quelli che Diliberto invia dal palco dell'Ambra Jovinelli sono solo dei calorosi inviti che, forse, dopo le elezioni potranno tradursi in un percorso unitario. Così, in attesa di sapere che ne sarà del nuovo Pci a Diliberto spetta il compito di sottolineare quanto il Pdci ha già ottenuto all'interno del programma dell'Unione (dalla «scala mobile» per le pensioni all'impegno ad assumere, nella prima Finanziaria del governo Prodi, 1500 ispettori del lavoro per controllare la sicurezza dei cantieri) e di rilanciare le sue battaglie: su tutte il ritiro immediato dall'Iraq e i Pacs. Una sorta di avviso preventivo ai naviganti che rischia di condizionare, e non poco, l'operato del futuro ipotetico governo dell'Unione. Dopotutto i dati parlano chiaro. Il Pdci, dovesse confermare i dati delle ultime europee (2,7%) porterà in Parlamento una pattuglia di 15-19 deputati e, assieme ai Verdi, una decina di senatori. Insomma, una nutrita pattuglia di uomini e donne, che potrebbe risultare determinante. I sondaggi più favorevoli al centrosinistra, infatti, danno al Senato l'Unione in vantaggio di appena 15 seggi. E se Diliberto decidesse di alzare le tende come fece Bertinotti nel 1998? E forse è anche per questo che Mastella e i moderati dell'Unione temono il confronto tv tra Berlusconi e Diliberto che vedono come un'investitura del leader del Pdci che potrebbe trasformarsi in un pericoloso boomerang. Discorso diverso quello relativo al Prc. Bertinotti (è questa l'accusa che gli rivolgono un po' dovunque) sembra aver barattato le battaglie ideali per una comoda poltrona da presidente della Camera. Così ci pensa Marco Ferrando, leader della minoranza trozkista del partito, a fare il «comunista» incassando a sorpresa la solidarietà dei compagni. Ieri, ad esempio, otto candidati del Prc alle prossime politiche si sono schierati al fianco di Ferrando acuendo la spaccatura interna al partito. Se a tutto ciò si aggiunge la schiera di ex diessini emigrati dalla parti della Rosa nel Pugno proprio per l'eccesso di moderatismo presente nella Quercia è abbastanza sicuro che Prodi av