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Prodi schiavo della Cgil, allarme delle imprese

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Confindustria teme un asse tra il sindacato e il Prof che potrebbe condizionare la politica economica

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Chiudendo il congresso della Cgil, il segretario generale, Guglielmo Epifani, ha lanciato un chiaro avvertimento a Romano Prodi. Al Professore, che venerdì aveva annunciato ai congressisti la «piena concordanza nelle analisi e nelle ricette» tra la propria impostazione e quella della Cgil, Epifani ricorda che a Corso d'Italia non si firmano cambiali in bianco. E che la Cgil deve «mantenere un profilo alto» della propria autonomia: «Il programma di Prodi è di Prodi, quello della Cgil è della Cgil». Insomma, il patto fiscale di legislatura - anzi, «dei tremila giorni» - prospettato da Epifani in apertura del congresso andrà attentamente rinnovato «anno dopo anno». Un monito che forse non spaventa Prodi. Ma che di certo stimola attentissime riflessioni - sconfinanti in palesi perplessità - nel «salotto buono» del capitalismo italiano. I cui portavoce da tempo si interrogano sulle possibilità di tenuta di un eventuale governo guidato da Prodi a fronte delle pressioni che la sinistra radicale pare in grado di esercitare su settori chiave per l'esecutivo quali la politica estera e la gestione dell'economia. Difficile trovare tracce evidenti di tali perplessità nelle dichiarazioni pubbliche rilasciate da quanti sono chiamati a rappresentare istituzionalmente il mondo imprenditoriale. A un ruolo come quello cui è chiamato il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, si confanno maggiormente richiami sobri quale quello rivolto a entrambi gli schieramenti: «È la campagna elettorale più lunga e più brutta dal dopoguerra a oggi», ha rilevato il numero uno degli industriali. Ma basta registrare gli input che giungono dal quotidiano di Confindustria (anche sotto forma di sondaggi condotti tra piccoli e grandi imprenditori) per avere un'idea dell'aria che tira a Viale dell'Astronomia: sulla prima pagina del Sole-24 Ore, l'editorialista Alberto Orioli denuncia ieri fin dal titolo «l'ipoteca della Cgil sul programma dell'Unione». Per Orioli, «la Cgil - è l'incipit dell'editoriale - costituisce il nono partito dell'Unione. Un soggetto quasi politico che fornisce a Prodi «quel suo partito, tanto cercato e finora mai trovato (e che partito, con oltre 5 milioni di tessere). La simbiosi, negata dal Palco, ma riaffermata nelle emozioni della standing ovation su sfondo rosso del Palafiera di Rimini, non potrà non avere conseguenze nei comportamenti futuri dei diversi attori». E di voler produrre conseguenze sui «comportamenti futuri» dell'esecutivo, la Cgil non fa certo mistero. Dopo aver paventato un «conflitto di interessi» tra il governo e la principale confederazione sindacale italiana, Orioli esorta Epifani a lasciare «la fortezza del contratto nazionale» - se ciò non accadesse, la Cgil dimostrerebbe che «non intende rinunciare a un ruolo prevalentemente politico». Aut aut che non scuote affatto Epifani, il quale ieri ha rilanciato: «La difesa del contratto nazionale è la cosa più moderna che dobbiamo sostenere. Non ha valore antico». Una frecciata diretta proprio a Montezemolo. Ma il problema, secondo Il Sole-24 Ore, non è rappresentato soltanto dalla refrattarietà della Cgil ad accettare «di spostare la sua attenzione strategica alla contrattazione in azienda». Grave è piuttosto il fatto - rimarcato da Orioli - che a Rimini «Prodi su questo tema ha glissato e non solo in ossequio all'autonomia delle parti sociali. Non è un caso se anche nelle 281 pagine del programma dell'Unione non si è trovato lo spazio giusto per questo tema». A fare le pulci al megaprogramma prodiano anche il Corriere della Sera, controllato da un patto di sindacato nel quale il «salotto buono» è ampiamente presente. Contro il programma dell'Unione aveva subito schierato il politologo Angelo Panebianco (autore di una stroncatura della parte dedicata alla politica estera) e altri editorialisti di punta.

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