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Marrazzo a Buenos Aires fa campagna per Prodi «Il voto non è un regalo, ma un riconoscimento»

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A poche settimane dalle elezioni eccoli gli italiani d'Argentina. Per loro queste elezioni sono il tempo della rivincita, l'uscita da un oblìo durato oltre mezzo secolo durante il quale hanno dovuto dimenticare la loro lingua e apprenderne in fretta un'altra, lo spagnolo, per scivolare inosservati ed evitare l'emarginazione. Il 9 e 10 aprile sarà il loro turno. Il sogno di queste persone è ottenere dall'Italia lo stesso trattamento che ricevono oggi gli italiani in casa propria: prima di tutto, avere pensione sociale e assistenza sanitaria. Negli anni Novanta il crac del paese latinoamericano ha cancellato lo stato sociale, azzerato i conti in banca, dimezzato il potere d'acquisto della moneta (il pesos) allargando la voragine dei disperati: la notte, nei bei parchi di Buenos Aires, può anche capitare di vedere moglie, marito e i propri figli dormire all'aperto. Unica grande consolazione e ricchezza è il tango. Lo stipendio medio di un impiegato argentino è di 5-600 pesos al mese (circa duecento euro), ne prende quasi 800 un medico specializzato. Se si vuole essere curati bisogna pagarsi l'assicurazione privata, la più decente parte dai 300 pesos. Non che non ci siano ospedali pubblici. Ci sono e tutti hanno parole di apprezzamento per i medici che vi lavorano. Ma nella capitale vivono 14 milioni di abitanti ed essere curati in tempo non è sempre possibile. Anche la pensione è un'impresa, privata. Il presidente dell'associazione romana e del Lazio in Argentina, Luigi Provenzali, lo spiega bene: «È dura vivere in Argentina. In seguito al fallimento dello Stato, il governo italiano ha stipulato una convenzione con l'omonimo ospedale a Buenos Aires e se uno di noi sta male, ha più di 65 anni e pochi soldi in tasca allora viene assistito gratuitamente, altrimenti sono dolori». La convenzione costa a Roma 3 milioni di euro l'anno. Il 9 e 10 aprile prossimi poco più di trecentomila italiani, 885.673 in tutta l'America del Sud, si recheranno ai seggi per eleggere tre deputati e due senatori. I nostri connazionali d'Argentina sperano di conquistare il pezzo più grande della torta e i numeri delle precedenti competizioni elettorali lasciano pensare che sarà così: l'ultima volta l'America del Sud ha espresso 290.522 voti (il 31% del totale mondiale) di cui 188.576 nella sola Argentina. Il senatore della Margherita Franco Danieli l'altra sera, nel Teatro Colonial a Buenos Aires, senza finestre, pieno di persone infiacchite dal caldo umido, in pieno comizio elettorale dell'Unione, ha detto che vorrebbe «recuperare i tagli operati dai governi di destra alla rete diplomatico-consolare e potenziare la cifra a loro disposizione». E vuole l'università italo-latina. L'ambasciata fa del suo meglio per aiutare i nostri connazionali in difficoltà. C'è chi dice che le elezioni si vincono coi media, giornali e tv, perché l'elettore all'ultimo sceglie chi legge. Che i soldi per pagare la propaganda sui media stanno a destra e non a sinistra. E poi c'è la diffusa espressione argentina: chi è di destra e anche di sinistra? Il peronista. E qui non è bello non essere filoperon. L'altra sera al Colonial, quale ultimo impegno del suo viaggio sudamericano, c'era anche il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, e diversi candidati al parlamento italiano (in lizza ne figurano 6 per la Camera e 4 per il Senato). Marrazzo, nel suo ultimo giorno argentino, prima di prendere l'aereo per Roma, era l'ospite d'onore, seduto al centro di un piccolo tavolo sul palco. A fianco, Franco Danieli e l'eurodeputato ds Franco Pittella, e seduti ai lati i personaggi delle liste. Appesi ai soffitti due inutili ventilatori che spingevano deboli mulinelli d'aria sulla platea accaldata. Il viaggio del presidente regionale sin dall'inizio s'è portato dietro l'ombra della missione elettorale, sollevata con malizia da un'intervista fatta in Italia dai due maggiori quotidiani sudamericani (Nacion e Claryn). Ma il presi

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