Rifondazione chiede che il simbolo elettorale dei Comunisti Italiani venga ritirato
Il Pdci contrattacca e parla di «sindrome del divorziato», puntando l'indice contro Bertinotti: «Ha paura di essere scavalcato a sinistra». Il Prc replica: «Non vogliamo i voti di nessuno ma non vogliamo neanche che vadano altrove. È un problema tecnico di confondibilità. Un problema che però rischia di diventare politico», spiega Franco Giordano, capogruppo di Rifondazione alla Camera dei Deputati. Dopo la scissione dell'ottobre 1998, l'ennesima spaccatura fra le due formazioni a sinistra della sinistra dell'Unione si consuma sul logo elettorale. Ambedue mostrano falce, martello e stella sulla bandiera rossa che sventola. E, anche se le scritte sono ovviamente diverse, il Prc chiede che quello dei «cugini» venga modificato. «Rifondazione è più realista del re forse perché deve farsi perdonare un peccatuccio del passato - spiegano al Pdci, facendo riferimento alla crisi di Governo sulla Finanziaria che vide protagonista il Prc, causò la fuoriuscita di Cossutta, Diliberto e Rizzo e la nascita del nuovo partito - La competizione elettorale con questo tipo di proporzionale esaspera lo scontro fra gli schieramenti ma noi non ci siamo mai sognati di fare ricorso contro il simbolo di un alleato. In questo modo si punta a espellere una forza che è stata in prima fila nella costruzione dell'Unione e che si batte per l'unità della sinistra». Risponde seccamente Giordano: «Non abbiamo alcun timore di essere scavalcati a sinistra e non vogliamo fare polemica ma uno studio ha accertato che alle ultime politiche c'è stato un consistente numero di schede sbagliate. Errori provocati dalla somiglianza dei due simboli, che ci hanno danneggiato. Molti, infatti, hanno sbarrato il logo del Pdci dando però la preferenza a un nostro candidato. Noi abbiamo la nostra linea - conclude il capogruppo del Prc - Siamo per la non violenza e la pace, per la lotta al terrorismo, per "due popoli e due Stati" in Medio Oriente. Se loro hanno posizioni diverse dalle nostre, è bene che si distinguano anche graficamente...». I Comunisti, però, non ci stanno. Per loro la questione è sostanziale, non tecnico-grafica. L'«affondo» sul simbolo è un onta che si aggiunge alle «tentazioni neocentriste» dei vecchi compagni di partito. Marco Rizzo, eurodeputato del Pdci, va giù duro: «Bertinotti ha cambiato linea politica e ora è chiaramente in grande difficoltà e teme di perdere voti - sostiene - Perché non parlano più delle 35 ore, della patrimoniale, del ritiro immediato e senza condizioni dall'Iraq? Perché sulla questione di cancellare o modificare la legge Biagi adesso Bertinotti dice "se non è zuppa, è pan bagnato"?». Rizzo ammette il divario profondo che ormai separa i «fratelli coltelli» rossi. Però, sottolinea, non è colpa nostra. «Non siamo noi che spacchiamo, noi siamo fermi sulle nostre idee - dice - È Bertinotti che va a braccetto con Prodi dopo averlo fatto cadere nel '98, che ripudia la storia del comunismo del '900 e che chiede la ricusazione del nostro simbolo dopo non averlo fatto per due elezioni consecutive». Giordano insiste: «Noi abbiamo firmato un programma, Ed è quello che fa testo. Se loro non sono d'accordo va benissimo, non capisco perchè allora l'abbiano firmato assieme a noi....». Insomma la querelle si fa feroce. Certo non siamo ai livelli delle persecuzioni staliniste verso i dissidenti, ed è lontano anni luce il clima in cui maturò la decisione di «baffone» di far uccidere a picconate Leone Trotzky. Sebbene proprio un trotkista, Marco Ferrando, sia stato «epurato» dalle liste di Rifondazione dopo un'intervista in cui legittimava gli attentati kamikaze in Iraq contro i soldati italiani. Lo scontro, per il momento, resta prigioniero delle parole. E poi la divisione dell'ex estrema sinistra non è una novità. I «cugini di campagna elettorale» e di riferimento ideale (ma si può ancora dire così?) sono stati sempre e puntualmente in disaccordo. Diliberto ha espresso il suo deciso «no» alla moratoria sulle leggi