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di LUIGI FRASCA L'ITALIA non cresce.

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E questo ha comportato anche un tributo sul fronte del lavoro. L'occupazione è scesa dello 0,4%: tradotto in concreto significa che si sono persi 102.000 posti «standard» di lavoro a tempo pieno (definiti dall'Istat unità di lavoro). E i consumi delle famiglie sono rimasti inchiodati ai valori dell'anno precedente. L'Istat scatta una fotografia a tinte fosche dell'economia del 2005. Ma non sul fronte dei conti pubblici. Il deficit, che il governo prevedeva salire fino al picco del 4,3%, si ferma invece al 4,1%, un valore sempre alto ma inferiore alle aspettative di un anno difficile. Un dato, questo, che porta il ministro dell'Economia Giulio Tremonti a commentare: «È oggettivamente positivo e onestamente ha sorpreso anche me in modo positivo. Sarei stato contento già del 4,3%. Vuol dire che la cura ha funzionato». Il male dell'Italia, appare chiaro dai dati Istat, è la mancanza di crescita. E questo diventa evidente nel confronto con altri Paesi: la Germania cresciuta dello 0,9%, il Regno Unito dell'1,8%, la Spagna del 3,4% e gli Usa del 3,5%. Il dato del Pil italiano, pur confermando quanto ancora scritto ufficialmente dal Tesoro nell'ultimo Dpef, sorprende i principali osservatori: dal Fondo Monetario all'Ue fino all'Isae scommettevano su una crescita dello 0,1-0,2%. E anche il ministero dell'Economia, negli ultimi documenti, parlava genericamente di possibile crescita sopra lo zero. Pil non cresce. Le tabelle statistiche segnalano nel 2005 uno 0,0% «segnando una netta decelerazione» rispetto all'1,1% del 2004, rivisto comunque al ribasso, come anche nel 2002 e 2003. Diminuiscono soprattutto gli investimenti fissi lordi (-0,6%), mentre risulta sostenuto il livello di importazioni e esportazioni. Consumi famiglie fermi. La spesa delle famiglie rispetto al 2004 è cresciuta lo scorso anno di appena un decimale di punto ma a conti fatti il contributo della spesa delle famiglie (la voce più consistente nella formazione del prodotto interno lordo) lo scorso anno è stato pari a «zero». Deficit, meglio di previsioni governo. Cresce il rapporto tra indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e Pil: si passa dal 3,4% del 2004 al 4,1% del 2005, in lieve miglioramento però rispetto alle stime del governo che attestavano il deficit 2005 al 4,3%. A migliorare il peso degli interessi sul debito, ma anche l'indebitamento, è stato anche il ricorso a swap per circa 2.092 milioni (migliorando di circa un decimo il deficit). L'impatto positivo, e la migliore tenuta dei conti, si spiega in parte anche con la revisione decennale del Pil (che rappresenta il denominatore del rapporto del deficit) che porta a valutare meglio il peso dei servizi bancari e quello degli «ammortamenti». Occupazione, perse 102.000 unità. In un anno è questa in valori assoluti la perdita di posti di lavoro a tempo pieno. In termini percentuali il calo è dello 0,4% con un aumento dell'1,3% delle unità di lavoro dipendenti e una diminuzione del 4,5% di quelle indipendenti. Dal punto di vista settoriale si registra un crollo nell'agricoltura (-8%) e una diminuzione nell'industria (-1,6%) mentre cresce l'occupazione nelle costruzioni (+2,3%) e nei servizi (+0,3%). I redditi da lavoro dipendente sono aumentati del 4,3% e le retribuzioni lorde del 4,4%. Pressione fiscale in calo ma aumenta peso tasse. Lieve riduzione della pressione tributaria nel 2005. Il peso del fisco è passato dal 40,6% del 2004, al 40,5 del 2005. In crescita però, anche se a ritmi più lenti del 2004, il peso delle tasse. Le imposte dirette hanno segnato un aumento del 2% e quelle indirette del 3,3%. Il calo della pressione fiscale è dovuto soprattutto al venir meno dei condoni. Crollano del 77%, infatti, le imposte in conto capitale, che misurano anche il gettito dei condoni. Nel 2005 infatti segna il venir meno delle sanatorie del 2004, e registra solo qualche residuo pagamento per il condono edilizio. Avanzo primario e debito. L'avanzo primario dei conti pubblici dell'Italia, cioè la differenza tra entrate ed uscite al n

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