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«Il Pdci strumentalizza la causa palestinese»

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Franco Giordano: «Rifondazione non c'era in piazza. Ci hanno pure attaccato»

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Non vuole essere accomunata a chi in piazza ha insultato i martiri di Nassiriya, a chi ha tradito la parola d'ordine «due popoli, due Stati» bruciando la bandiera israeliana, a chi ha propalato l'odio ripudiando il pacifismo. «Vogliamo ribadire con grande forza che alla manifestazione di Roma Rifondazione comunista non c'era. Anzi, ha dovuto subire accuse e aspre polemiche da parte degli organizzatori per la sua mancata adesione», spiega Franco Giorndano, capogruppo del Prc alla Camera. Ricordiamo i motivi che, all'indomani delle gravi dichiarazioni su Nassiriya del trozkista Marco Ferrando, hanno spinto il suo partito a non partecipare al corteo romano? «Si tratta di ragioni semplici e chiare. La piattaforma della manifestazione era ambigua. Non c'era il riconoscimento della parola d'ordine "due popoli, due Stati", per noi fondamentale. E, proprio in virtù di questa ambiguità, la manifestazione ha ridotto la platea dei soggetti che possono mobilitarsi a favore della popolazione palestinese e quindi il consenso alla causa della Palestina». È stato un corteo pacifico ma non certo pacifista... «Infatti. E noi approviamo in modo inequivoco la scelta della non violenza e ne abbiamo fatto la nostra bandiera. È una scelta che riteniamo dirimente per le modalità della costruzione di una piattaforma programmatica. La nostra avversità alla guerra è nota ma siamo anche contro il terrorismo». Ma sabato in piazza Venezia c'era anche uno striscione di Rifondazione e c'erano alcuni suoi militanti. «La federazione di Bologna è stata da sempre gestita da una minoranza interna. Ma quello striscione sicuramente non parla per tutta la federazione bolognese». Alla luce del fatto che vi presenterete insieme alle elezioni del 9 aprile, quella con il Pdci di Oliviero Diliberto è una spaccatura ormai senza ritorno? «Non la definirei una spaccatura. Alcuni soggetti scelgono autonomamente questo tipo di percorso. Ma per noi quello che conta è l'appuntamento molto più grande e importante della manifestazione del 18 marzo». Però non è certo un bel biglietto di presentazione per chi deve garantire la stabilità del futuro governo... «La stabilità dipende dalla bussola del programma, che è già stato definito ed è cristallino: contro la guerra, contro il terrorismo e per il ritiro immediato delle nostre truppe dall'Iraq. Una posizione condivisa da tutto il movimento pacifista e dalla maggior parte dei cittadini italiani. Per questo non vedo alcun rischio di ingovernabilità del Paese». Non temete di essere scavalcati a sinistra da Diliberto? «Il mancato riconoscimento di una parola d'ordine come "due popoli, due Stati" non è solo un tentativo di scavalcarci ma una posizione grave ai fini della soluzione della questione palestinese. Non solo. Le critiche per il rifiuto di aderire al corteo di sabato vengono da una forza politica che strumentalizza la vicenda mediorientale a scopo elettorale e che non ricorda di aver preso parte direttamente, quando era al governo, alla guerra in Kosovo».

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