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«Le accuse dei giudici? Finirà tutto in una balla»

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Berlusconi a Perugia: «Sapevo che mi avrebbero attaccato, ma li fregherò anche stavolta»

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Certo che ci riproveranno. Anzi, ci stanno già riprovando. Ma li fregherò di nuovo». È su di giri Silvio Berlusconi. Ha appena finito il comizione nel palazzetto dello sport di Perugia, quarta tappa del suo tour elettorale che lo porterà oggi a Verona, nella prima regione non rossa (dopo Toscana, Sardegna e Marche). Scende dal palco, si tuffa in mezzo a tifosi, fans, stringe mani in una bolgia infernale. E dietro al palco scorge un gruppetto di ragazzi di Forza Italia giovani. Si lancia tra di loro. «Ragazzi, siete fortissimi. Quanto mi piacerebbe una bella pizza con voi, ma adesso ho una cena...». E uno gli fa: «Presidente, siamo a cena lì vicino». La risposta: «Allora vi raggiungo dopo», dice il Cavaliere. Poi arriva la domanda angosciante: «Presidente, ma i giudici ci riproveranno di nuovo a fermarla?». «Ehhh - risponde lui - Certo che ci riprovano. Anzi, hanno già cominciato. Me lo aspettavo, me lo chiedevo proprio nei giorni scorsi: "Ma come mai ancora non è arrivato nulla dalla procura di Milano?". E tac, ecco una bella inchiesta sotto il voto. Lo hanno sempre fatto, in tutte le elezioni». «Presidente - gli fa un altro ragazzo -, ma la fermeranno?». «Macché - ride sornione lui - li fregherò anche questa volta, state tranquilli. Adesso dicono questa cosa di me...». L'accusa? «Sì, ma quale accusa. È una balla. Una tale balla che non s'è mai vista. Finirà in un niente, come sempre. Forza ragazzi, dateci dentro adesso. La vittoria è nelle vostre mani». Poi si gira, Berlusconi. La scorta cerca di fare quello che può per frenare l'assalto. Spintoni, qualche gomitata. Il Cavaliere lascia il palazzetto dello sport. Era riuscito per quasi due ore di discorso ad eludere l'argomento, la richiesta di rinvio a giudizio per corruzione che la Procura di Milano sta preparando e che dovrebbe rendere nota solo tra tre settimane. Aveva fatto solo un riferimento all'inizio del suo discorso, in tono scherzoso: «Lì, in fondo alla sala c'è un infiltrato. Mi ha detto prima, mentre giravo tra di voi, con una voce seria: "Ti arresteremo, ti arresteremo"». E sempre in tono da ridere, aveva raccontato una barzelletta nominando Violante e dalla platea si erano levati fischi, brusii e «buu». Berlusconi se la rideva dal palco e poi ironico diceva: «Perché fischiate? Perché questo atteggiamento ostile? In fondo, Violante non ha fatto che guidare le truppe delle procure rosse contro di noi. Un generale avversario non si tratta così...». Due accenni. Dopo il Cavaliere parla, parla, parla. Parla per decine di minuti dei risultati del governo. Lascia perdere l'argomento, lo mette in disparte nella sua mente. Ma quel piccolo tarlo gli deve aver dato fastidio in testa e alla fine il premier sbotta. Alla fine del suo comizione mentre il pubblico oramai, come in uno stanco finale di partita, sta lasciando le tribune, esplode. Si gira verso al sua destra, dove sono assiepati i ragazzi del suo partito. E promette solennemente: «Lo dico a voi perché voglio che proprio a voi sia chiaro: non abbandonerò il mio impegno politico fino a quando non modificherò l'assetto della magistratura». L'obiettivo è uno: separare le carriere, pm da un lato e giudici dall'altro. Affinché ci sia parità, e la parità ci sarà quando «i pm entreranno nella stanza del giudice con il cappello in mano, come oggi fanno gli avvocati della difesa». Mentre oggi accusatori e organi giudicanti vivono assieme, «fanno parte della stessa consorteria, prendono lo stesso cappuccino». E soprattutto, «i giudici non condizioneranno la campagna elettorale». E «sentenzia»: «Non voglio dire nulla. In più, il processo si è fermato, ed è stato rinviato a dopo le elezioni». Poi attacca a testa bassa: «La maggior parte della nostra magistratura di sinistra guarda con maggior simpatia l'aggressore rispetto all'aggredito, perché la vulgata della sinistra dipinge l'aggressore come il frutto di una colpa della società». Suona l'allarme, come se chiamasse le truppe attorno a sè: «Guardate, può succedere a t

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